Il premio Oscar Robert Redford ritrova la regia a due anni dallo storico The Conspirator con un thriller politico vecchio stampo basato sul romanzo di Neil Gordon e adattato per lo schermo da Lem Dobbs. La regola del silenzio, prodotto dallo stesso Redford, dal vincitore dell’Academy Award Nicolas Chartier e da Bill Holderman, si avvale della presenza di interpreti del calibro di Susan Sarandon, Nick Nolte, Stanley Tucci, Julie Christie, Brendan Gleeson e Shia LaBeouf. Jim Grant (Robert Redford) è un avvocato single che condivide con sua figlia una tranquilla esistenza in un sobborgo di New York. La sua quotidianità viene sconvolta quando un giovane reporter, Ben Shepard (Shia LaBeouf), riporta a galla la vera identità di Grant: un ex pacifista radicale tuttora ricercato per omicidio. Immediatamente l’FBI si mette sulle sue tracce scatenando un'implacabile caccia all’uomo, e per l’ambizioso Shepard non rimane nient’altro da fare che scavare ancor più nel passato del protagonista per ottenere lo scoop del momento che potrebbe dare una svolta significativa alla sua carriera. Braccato, Grant va alla ricerca dell’unica persona in grado di scagionarlo. Riallacciati i contatti con alcuni membri del suo gruppo, i Weather Underground, riemergono ferite vecchie di trent’anni che il tempo non ha cancellato. E mentre Shepard sta per scoprire tutta la verità sul fuggitivo, l’FBI si fa sempre più vicina… Redford ripropone se stesso, ancora una volta, in una storia incentrata sulla ricerca della verità , un film di denuncia sociale che ammicca esplicitamente a quel genere di pellicole anni ’70 che facevano della tensione tra i personaggi il loro punto di forza. Purtroppo il risultato è alquanto scadente: delle atmosfere nervose di Tutti gli uomini del presidente di Pakula non v'è alcuna traccia, e per tutta la durata dell’opera un ritmo lento affianca interpreti svogliati in un racconto che fatica a decollare. Dall’iniziale e brevissima comparsata di Susan Sarandon, al sorrisetto irritante di Shia LaBeouf, perennemente stampato sulla bocca, il film colleziona una sequela di note stonate che allontanano progressivamente l’interesse dello spettatore dagli avvenimenti che si svolgono sullo schermo. E se LaBeouf come reporter d’assalto raggiunge i minimi livelli di credibilità , non scherza nemmeno il protagonista nel ruolo del padre della bambina che, giovanissima, potrebbe esserne al massimo la nipote. Il regista non è Eastwood e, forse, dovrebbe sondare maggiormente le potenzialità drammaturgiche delle storie da raccontare, piuttosto che proporre pellicole fiacche dal finale ancor meno avvincente.