Dall’occhio contemplativo di Bernardo Bertolucci, un doppio racconto d’oriente sospeso tra presente e passato. Jesse Conrad (Alex Wiesendanger) è un bambino di Seattle che, riconosciuto da due monaci buddisti come la reincarnazione del Dalai Lama, è condotto, con il padre Chris (Chris Isaak), dal Lama Norbu (Ying Ruocheng) nel Bhutan. Su questa vicenda moderna si dispiega, come una favola, il racconto leggendario del principe Siddhārtha Gautama (Keanu Reeves), detto il Buddha, vissuto in India attorno al 500 a.C. Sei anni dopo L’ultimo imperatore, Bertolucci torna a narrare l’Asia dei contrasti attraverso un racconto di religiosità e ascetismo, ancora una volta sospeso tra passato e presente, in un’atmosfera che si tinge di toni fiabeschi, trionfante di leggenda e sfumata di un'intrinseca ingenuità. Nelle ambiziose intenzioni del suo regista, Piccolo Buddha voleva essere una pellicola densa di fervore meditativo, con un ritmo volutamente lento e intriso di spiritualità. Il risultato finale si rivela però riuscito solo in parte. Pur avendo come soggetto il riconoscimento di una guida religiosa e in generale la più ascetica delle fedi, il buddhismo, il film risulta manifestamente concepito per attirare premi e riconoscimenti, con un’affettata attenzione per le scenografie e i costumi, e una volontà moralizzatrice fin troppo evidente. La fascinazione offerta dall’ambientazione e dalla tematica stessa porta Bertolucci ad indugiare su particolari virtuosismi scenici, perdendo spesso di vista la trama centrale e con essa il sentiero che consente allo spettatore di orientarsi fra la storia narrata nel presente e quella leggendaria del principe Siddhārtha. In questo artificio narrativo delle due storie, intersecate attraverso un complicata struttura a scatole cinesi, c’è da dire che, pur con qualche sbavatura, l’abilità registica di Bertolucci rimane intatta. Tuttavia, delle due trame, non v’è dubbio che, per quanto la vicenda moderna del piccolo Jesse sia la più ricca di spunti e vanti un ottimo cast di attori – dal giovanissimo Alex Wiesendanger all'ottimo Ying Ruocheng, fino a Bridget Fonda e Chris Isaak -, ad affascinare è soprattutto la ricostruzione storica della figura del Buddha, con un eccezionale Keanu Reeves in un ruolo iconico. Nel 1993, anno in cui vengono sfornati alcuni degli indimenticati box office di tutti i tempi (Jurassic Park, Philadelphia), Bertolucci – per la prima volta alle prese con una pellicola ottimistica e positiva - sembra incastrarsi tra le proprie inevitabili intenzioni autoriali e la necessità di rincorrere opere coeve, più commerciali e fortunate. Ad una regia indecisa, fa tuttavia da contraltare quello che è senz’altro il maggior punto di forza del film, ossia un’eccezionale componente estetica. Dalla colonna sonora di Ryuichi Sakamoto alle scenografie di James Acheson sino all’eclettica fotografia di Vittorio Storaro, quelli che si ritrovano sono nomi e sguardi più che noti agli amanti del regista parmense, soprattutto nelle sue pellicole più barocche per dispendio di energie e resa scenica, di cui Piccolo Buddha è un esempio più che calzante.