Sei vicende si svolgono in parallelo lungo la storia dell’umanità, legate da impercettibili connessioni spaziali e temporali. Negli Stati Uniti di metà Ottocento un avvocato (Jim Sturgess) si batte contro la schiavitù, negli anni ’30 prende vita una storia di musica, amore e pregiudizi, nella S.Francisco degli anni ’70 una giornalista coraggiosa (Halle Berry) indaga su un reattore nucleare. Nella contemporaneità un anziano editore (Jim Broadbent) prova a scappare da un’opprimente casa di riposo, nella Corea del futuro si tiene l’ennesimo conflitto uomo-replicante, nel 2321, sullo scorcio finale della civiltà, si svolge la lotta fra una tribù tecnologicamente avanzata ed un’altra regredita all’età della pietra. Il progetto Cloud Atlas è destinato a restare nella memoria come uno dei più mastodontici e ambiziosi della storia del cinema contemporaneo. Dal sodalizio tra Tom Tykwer (Profumo - Storia di un assassino, The International) e i fratelli Wachowsky (Matrix) prende vita il più costoso film mai prodotto in Germania. Tratto dal romanzo di David Mitchell, L'atlante delle nuvole, e con un cast di stelle di Hollywood impiegate in sei differenti interpretazioni che ne impegnano al massimo - con un conseguente dispendio di costumi, trucchi e scenografie - il talento attoriale, la prestanza recitativa e la versatilità, Cloud Atlas è molto più che un film corale, piuttosto sei diversi film legati da temi che appaiono come quanto di più intrasponibile esista, come la connessione spirituale che lega anime lontanissime nel tempo e nello spazio o il desiderio universale di libertà. Con un soggetto che si presta al creazionismo registico come solo in pochi casi accade, e tre nomi che sono anche autori di alcune delle più appassionanti sceneggiature del cinema dell’ultimo decennio, il risultato complessivo non delude le aspettative. Se infatti il materiale disponibile – a partire dall’affascinante romanzo di Mitchell fino ai mezzi e all’eccezionale cast a disposizione – era d’eccellenza, è soprattutto nell’artificioso montaggio del film, opera di Alexander Berner, che viene impiegata la massima libertà creativa. Per una vicenda intrecciata nel corso della storia umana, tra passato, presente e futuro, i tre registi scelgono di concedere il più possibile alla fantasia sfiorando l’irrealtà e scegliendo un montaggio altalenante ed incerto su cosa concedere spazio e cosa limitare. E in un film di 170 minuti, un ritmo variegato appare fondamentale per mantenere alta l’attenzione dello spettatore sulle molte storie narrate, mentre il “montaggio emotivo” crea e disfa, suggerendo soluzioni oppure smontando le aspettative, e soprattutto tenendo sempre tesa la corda che lega le sei storie seminando in una il finale di un’altra e in quella il suo logico proseguo. Il rischio in cui incappa Cloud Atlas è però, sin dai primi suoi intrecci, quello di perdere facilmente il capo del discorso tra uno snodo narrativo e un altro, e di risaltare per mancanza di coerenza e omogeneità. A balzare subito all’occhio è infatti la sostanziale differenza tra lo stile dei Wachowsky e quello di Tykwer, che sul set hanno lavorato distintamente, con troupe diverse e approcci quasi diametralmente opposti. Tra gli episodi diretti da Tom Tykwer - quelli negli anni ’30, negli anni ’70 e nel presente - e quelle dei Wachowsky - la trama ottocentesca e le vicende ambientate nel futuro - il prodotto finale si rivela in tutte le sue divergenze, a partire da quelle meno stranianti di genere, che anzi costituiscono un punto di forza in un film tanto vasto, a quelle di più difficile accettazione, che riguardano in generale lo stile registico. Dalle rispettive migliori opere dei tre autori è tratta sia la condivisa attenzione per le scenografie e i costumi sia lo sguardo, personale e immediatamente riconoscibile nelle sue differenze. Da Profumo pare derivare in Tykwer un certo soddisfacimento sensoriale, insieme ad un occhio elegante e carezzevole; dal primo Matrix provengono alcuni sensazionalistici colpi di scena e l’approccio avanguardistico e modaiolo dei Wachowsky. Ciò che non si può mai dimenticare è che, nonostante la grande nota di merito costituita dalla regia ambiziosa, Cloud Atlas è soprattutto un colossal, un film di grandissimo respiro e di facile inciampo, in cui ogni singola rappresentazione – visiva o emotiva – è per forza ostentata, esagerata e grandiosa. E se infatti il 2012 si è chiuso in un tripudio di bellezza e spiritualismo con Vita di Pi di Ang Lee, Cloud Atlas – uno dei primi film ad inaugurare il nuovo anno – sembra gettare nuovamente gli spettatori in un trionfo di effetti speciali al servizio della creazione di mondi fantastici.