Venezia è una signora antica, buia, che con il suo velo di nebbia copre un labirinto di segreti. Le anime danzano in vecchi palazzi fatiscenti, ombre degli antichi splendori, in attesa solamente di un pubblico non ancora istruito che possa ascoltare la loro triste storia. Tino Zanetti (Danilo Mattei) è un diciannovenne di provincia che si trasferisce per un certo periodo dai ricchi zii veneziani per frequentare una scuola d’arte. Presto percepirà l’esistenza di un ingombrante segreto all’interno della decadente famiglia Stolz, tanto pressante da indurre prima la fragile zia Elisa (Catherine Denueve) ed in seguito l’intellettuale tradizionalista zio Fabio (Vittorio Gassman) a far luce su una vicenda che come una maledizione da anni li perseguita. Tino è il foro nella quarta parete, un viandante nella notte che ascolta le storie della laguna, addentrandosi nell’oscurità delle soffitte più dimenticate, tenendo la mano dello spettatore stretta nella sua, durante il crescendo organizzato da un ispiratissimo Dino Risi, al suo secondo adattamento di un romanzo di Giovanni Arpino (dopo Profumo di donna, nel 1974, da Il buio e il miele). Diverso da quello del decennio precedente, il Risi degli anni Settanta abbina una linea di continuità con la commedia anni Sessanta (da Sessomatto, 1973, a I nuovi mostri, 1977) ad una di vaga ispirazione politico-sociale (In nome del popolo italiano, 1971, e Mordi e fuggi, 1973) e ancora ad una terza che invece indaga le profondità del personale, della mente colta nel suo aspetto più privato, di cui Anima persa è un lampante manifesto. Una storia sapientemente orchestrata per cerchi concentrici, come in un rebus, dove al tema del doppio si accosta la discrepanza tra una Venezia ormai calata nella realtà del decennio in corso, fatta di eschimo e capelli lunghi, e i resti di aristocrazie che si rintanano nel loro elitarismo culturale, quasi fuori dal tempo. A colpire particolarmente sono i dialoghi, veri e propri pezzi di letteratura recitati in maniera insuperabile da un Gassman austero ma allo stesso tempo sensibile all’arte, conservatore eppure celatamente eccessivo, avvezzo al monologo, alla retorica, alla poesia. Forbito e volutamente criptico, Anima persa rappresenta una scheggia, un cavillo di memorabile bellezza tanto nella carriera di Risi quanto nella cinematografia italiana.