
2044. Joe (Joseph Gordon-Lewitt) è un looper, mercenario che uccide su commissione uomini provenienti dal 2074, anno in cui i viaggi nel tempo sono diventati il modo migliore per le organizzazioni criminali di sbarazzarsi delle loro vittime, spedendole nel passato e cancellando le loro tracce. Quando il giovane killer scopre che il suo prossimo bersaglio è il se stesso del futuro sarà costretto a fare delle scelte in totale disaccordo con il suo stile di vita. Il Joe del futuro (Bruce Willis), infatti, è in cerca di vendetta dopo aver assistito all'uccisione della moglie, e l'unico modo per soddisfare la sua sete vendicativa è trovare ed eliminare nel passato i responsabili della morte della donna, estirpando così la minaccia alla radice. Rian Johnson utilizza sapientemente ritmo e suspense per creare un universo senza inizio né fine. A prima vista Looper si presenta come un thriller fantascientifico, dalla narrazione avvincente e dagli ottimi protagonisti. Se Bruce Willis sembra richiamare il suo personaggio più iconico – quello di McLane in Die Hard –, Joseph Gordon Lewitt recupera una fisicità che deriva direttamente dalla grande tradizione western. Joe, con la sua arma a breve gittata, è un pistolero postmoderno, tinteggiato dai toni freddi di un futuro distopico e in disfacimento. Tra questi due poli interpretativi Johnson inserisce il sempre affascinante tema dei viaggi nel tempo. Vero e proprio motore trainante di pellicole che hanno fatto la storia del cinema del ventesimo secolo – come Ritorno al futuro o Terminator -, il tema dei salti temporali viene recuperato dal regista non solo come strumento di narrazione, ma anche come mezzo privilegiato per spingere lo spettatore a riflettere verso questioni morali più spinose come l’avidità o il libero arbitrio. L’idea del paradosso temporale – ossia la possibilità, per una persona che torna nel passato, di cambiare il proprio futuro – viene recuperata a piene mani dalla produzione di Philip K. Dick, per poi reinventarla in un film che mira a spiazzare lo spettatore. Il tutto reso possibile dall'efficacia del montaggio in un film che balza da un piano all’altro, omettendo o esagerando, senza senza soluzione di continuità né punti di riferimento specifici. Pur non offrendo grandi novità alla lunga tradizione fantascientifica ispirata a Dick, va comunque riconosciuto a Johnson il merito di voler andare oltre gli stilemi del genere, arricchendo la narrazione di ritratti intimi e di confessioni sussurrate al vento. Al grande spettacolo di puro intrattenimento, il regista alterna sequenze interamente dialogate, volte a snudare il vero io dei personaggi messi in scena. A tutto questo il regista sembra voler aggiungere una serpeggiante nota di rassegnata crudeltà, che si evince al meglio nell'ostinazione del protagonista di andare fino in fondo nella missione che lo spinge a varcare i confini temporali. Looper si consolida nel perfetto incastro di elementi eterogenei e intrecci coinvolgenti, che vede la propria sublimazione in uno dei finali più emozionanti degli ultimi anni.