In un piccolo paese della Sicilia, le vite di tre donne agli antipodi si intrecciano. Crocetta (Sabrina Impacciatore), pressata da una madre che la vuole ancora bambina, è la classica zitella che, a detta del paese, ha il difetto di portare sfortuna a tutti gli uomini che le si avvicinano. Gilda (Claudia Gerini) è uno spirito ribelle che si scontra con la mentalità chiusa del paese, anche per il suo mestiere: la donna, infatti, si guadagna da vivere facendo la prostituta. Infine Olivia (Cristiana Capotondi) è la sposa novella di Rocco (Tommaso Ramenghi), marito perfetto che però sembra nascondere qualcosa. Immaginando una storia di tradimento, Olivia scopre – per un caso fortuito insieme a Crocetta e Gilda – che il marito è un rapinatore di banche che ha usato il matrimonio solo come copertura. Ferita e umiliata da questa scoperta, Olivia uccide il marito e accetta di nascondere la malefatta per poter così spartire insieme alle due nuove amiche un bottino di circa un milione di euro. Il piano delle donne, tuttavia, si scontra con le indagini del Tenente Malachìa (Vinicio Marchioni), determinato a svelare il carattere nauseabondo delle donne che, in attacchi palesi di maschilismo, definisce semplicemente puttane. Giorgia Farina approda al suo lungometraggio d’esordio, dopo aver girato il mondo grazie a borse di studio e cortometraggi di successo, con una storia di cui è anche sceneggiatrice insieme a Fabio Bonifacci. Attraverso una miscela – non sempre riuscita – di commedia e noir, la regista tenta di descrivere il ritratto di una tipologia ben precisa di donna. Pur scegliendo tre protagoniste che per caratteri e vizi non potrebbero essere più diverse, è chiaro come Farina voglia prima di tutto parlare delle donne e della loro evasione dalle gabbie di un piccolo paese siciliano colmo di pregiudizi. Se Crocetta accetta di riscoprire il proprio corpo, Olivia non vuole più essere una moglie obbediente reinventandosi goffo killer dilettante. Tra di loro emerge la figura di Gilda, vero leader e mente del trio; un ruolo che, sebbene simile alle precedenti interpretazioni della Gerini, non si può non constatare quanto le calzi a pennello. Amiche da morire punta quasi tutte le sue carte vincenti su un’idea di femminilità che, pur con i suoi stereotipi e cliché, risulta divertente per lo spettatore: donne apparentemente fragili e vanesie che deridono il sesso forte per il proprio incedere solo per stimoli primordiali, quali il sesso e il desiderio di supremazia. Una mascolinità zoppicante e inefficiente, inerpretata alla perfezione da Vinicio Marchioni attraverso un personaggio vile e codardo, manipolatore e sfruttatore, giustificato solo in parte dalla delusione subita dalla moglie. La regia di Giorgia Farina, lineare e precisa, rinuncia a futili manierismi, concentrandosi soprattutto sulle interazioni fisiche degli interpreti mentre si muovono sullo sfondo di un impianto scenico congeniale, che vede nella location pugliese la scenografia naturale della messa in scena. Pur evitando buonismi e cadute di stile, Amiche da morire incespica in personaggi fin troppo grotteschi e surreali, dimenticandosi inoltre di approfondire alcune peculiarità caratteriali rimaste appena accennate.