Dato il contesto socio-politico dell'attualità peninsulare, non è difficile capire come Viva la libertà possa risvegliare nel pubblico insofferente un sentimento di sorprendente approvazione. Scritto a quattro mani da Angelo Pasquini e Roberto Andò – quest’ultimo oltre ad essere il regista del film è anche autore del libro Il trono vuoto, da cui la pellicola è tratta – Viva la libertà tenta di trattare con il tono della commedia uno dei temi più spinosi al giorno d’oggi: la politica e gli uomini che si celano dietro ad essa. Durante un comizio, davanti agli occhi curiosi di moltissimi astanti, il segretario del partito dell’opposizione, Enrico Oliveri (Toni Servillo), riceve gli insulti da parte di un attivista del suo stesso credo politico, che lo accusa di non aver più niente da dire né da offrire. «La vergogna ti paralizzerà » gli urla contro l’uomo, ma a paralizzare Enrico è soprattutto l’umiliazione subita e la condizione politica nella quale non riesce più a riconoscersi. A seguito di un tracollo nervoso e psicologico, Enrico decide di partire alla volta della romantica Parigi alla ricerca di un vecchio amore che, insieme alla rinata passione per il cinema, possa donargli di nuovo entusiasmo e fiducia. Il suo posto vacante, tuttavia, getta nel panico l’assistente Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) che è alla disperata ricerca di un palliativo. A salvarlo da una crisi di nervi è l’arrivo di Giovanni (sempre Servillo), fratello gemello di Enrico oltre che professore di filosofia con la nomea di fuori di testa. Il passaggio di testimone - oscuro ai più - tra Enrico e Giovanni, spingerà la folla a credere ad una sorta di illuminazione da parte di Enrico. Ci sono film in cui la mano del regista si sente prepotente e preponderante; e poi ci sono pellicole in cui il metteur en scene non può far altro che scivolare nell’anonimato fisico che lo contraddistingue e lasciare che l’obiettivo si focalizzi sugli attori. Viva la libertà fa senz’altro parte del secondo approccio. Per quanto, infatti, Roberto Andò si prodighi nell’offrire il ritratto di un paese utopistico nella sua riuscita identificativa, è innegabile che il grande punto di forza del film e l’elemento più riuscito è offerto dalla prova istrionica di Servillo. L’interprete de Il divo e Gomorra offre una nuova dimensione di concretezza al concetto di doppelganger: l’attore interpreta un uomo e il suo contrario, l’essere umano e la sua ombra, riuscendo ad essere credibile in entrambi i ritratti. Padroneggiando su un terreno narrativo che spesso si perde nella propria ostentata retorica, l'attore riesce a dare concretezza visiva alle pagine di Andò, riuscendo da solo a catturare l'attenzione dello spettatore, che a volte rischia di perdersi lungo i confini di Parigi più che sulle avventure dei personaggi messi in scena.