Forte del successo di Uomini che odiano le donne, Niels Arden Oplev si cimenta con la direzione di un thriller dalle diverse sfaccettature, che porta in scena Noomi Rapace insieme ad attori di fama internazionale come Colin Farrell, Dominic Cooper, Terrence Howard e Isabelle Huppert. Victor (Colin Farrell) è membro di una gang di malavitosi al soldo di Alphonse (Terrence Howard), il cui potere è messo in discussione da un misterioso assassino che sta decimando la sua banda. Beatrice è una ragazza che ha subito un grave trauma: in seguito ad un incidente automobilistico metà del suo viso è deturpato da profonde cicatrici, che le creano un grande disagio. La ragazza abita con la madre di fronte a Victor: lo vede spesso dal terrazzo e una sera prende il coraggio di stabilire un contatto che cambierà per sempre le vite di entrambi. Dead Man Down non è un classico film action, anche se le derive in quella direzione sono molte: ha una costruzione per buona parte del tempo da thriller tradizionale (sebbene a volte troppo ardito nel risolvere alcune incongruenze), utilizza interessanti forme di approfondimento psicologico nel costruire i personaggi, sviluppa una narrazione su più piani, in cui i rapporti umani, nel bene e nel male, sono protagonisti. Il risultato di questo mix di elementi è efficace a discapito dell’organicità . Cionondimeno il film scorre veloce e ognuno degli attori fa il proprio dovere: Farrell e Rapace rendono bene il rapporto claudicante che vanno costruendo fra le difficoltà e i problemi che i due personaggi si portano dietro. A ben vedere il concetto di limite, tanto come handicap che come soglia, pervade tutto il film in modi diversi: caratterizza Victor, Beatrice e il loro rapporto, limita Valentine (Isabelle Huppert), la madre di Beatrice, nella forma di disabilità uditiva, persino il boss Alphonse soffre dei suoi limiti, impossibilitato dalle regole della malavita a gestire come vorrebbe i suoi affari. Ma così come per i personaggi, il limite si affaccia anche nella costruzione stessa del film: un'opera da fruire con la dovuta apertura mentale, perché ontologicamente a metà strada fra la linearità e la superficialità dei blockbuster americano e i sobbalzi contenutistici del film d’autore. Un'azzardata via di mezzo, il cui uscire fuori dagli schemi non costituisce di per sé un effettivo limite, ma neanche necessariamente un pieno merito.