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La cuoca del presidente

11/03/2013 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

La cuoca del presidente

Dalle ricerche gastronomiche in Antartide e Nuova Zelanda, dal Périgord all'Eliseo: approda al cinema la storia di Hortense Laborie – alter ego romanzato di Dan

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Dalle ricerche gastronomiche in Antartide e Nuova Zelanda, dal Périgord all'Eliseo: approda al cinema la storia di Hortense Laborie – alter ego romanzato di Danièle Delpeuch, dal 1986, per due anni, cuoca di François Mitterrand, presidente della Repubblica francese, alle cui memorie è ispirato il film di Christian Vincent.


Hortense Laborie (Catherine Frot), apprezzata cuoca del Périgord, è chiamata a Parigi dal Presidente della Repubblica (Jean d'Ormesson) come prima cuoca dell'Eliseo. Accettato l’incarico, Hortense scoprirà presto che il mondo delle cucine presidenziali è un regno pericoloso, dove alle invidie e ai colpi bassi da parte degli chef del Palais si aggiunge la responsabilità di saziare ogni giorno alcuni dei più influenti stomaci del mondo.


Dai ghiacci del Polo Sud, Hortense ricorda l’amicizia e gli anni della collaborazione con il Presidente come prima cuoca dell’Eliseo. Inizia così la pellicola di Vincent, un elogio della buona tavola, ma soprattutto la storia di una donna che, con i suoi modi semplici e diretti, ha messo in riga l’entourage gastronomico francese e per anni ha reso l’Eliseo la migliore tavola di Francia. Christian Vincent – regista con un curriculum di eleganti pellicole fra cui Quatre étoiles e La discrète - si ispira ad una storia vera per dipingere, attraverso la carismatica presenza sulla scena di Catherine Frot, la battaglia di una donna – sesso minoritario negli circoli culinari più illustri – contro un ambiente profondamente snob ed elitario. Sebbene Hortense - detta la Du Barry, soprannome affibbiatole dagli ostili colleghi in onore della bizzosa amante di Luigi XV - sia, nell’interpretazione della Frot, una protagonista fascinosa e di immediata simpatia, l’attrice appare sin dal principio una presenza sottotono, malinconica e in difficoltà nel rendere al contempo la focosità, la semplicità di spirito, la determinazione e la delicatezza del personaggio. Di rimando, anche i comprimari – dai capricciosi chef delle cucine al bonario Mitterand di Jean d'Ormesson (una somiglianza eccezionale, un’interpretazione ordinaria) – rinunciano fin dal principio ad essere ruoli integranti del film, preferendo caratterizzarsi come attori d’appoggio, abbellimenti all’intepretazione della Frot. Pur non mancando di un soggetto interessante, quello di argomento culinario che, anche se abusato e ormai sin troppo modaiolo, può ancora offrire spunti originali, a partire dalla prima mezz’ora, La cuoca del presidente si perde in quei vezzi e moine che rendono ridondante il personaggio di Hortense e caratterizzano la pellicola come un ripetersi di poche, brevi pennellate celebranti la superiorità gastronomica francese e lo scontro fra sapori genuini e ricercatezza ostentata - l’equivalenza fra cibo per il corpo e cibo per lo spirito. Invitando a seguire le battagliere imprese di una elegante, forse troppo algida, signora delle cucine nelle stanze del potere di Francia, Vincent ha scelto una classica impronta biografica, che andava forse vivacizzata non solo con l'interminabile successione di pietanze e preparati, anche se presentati alla luce di un'impeccabile fotografia. Appena il richiamo per il cibo e la fascinazione per il patinato ma autentico mondo della gastronomia termina, La cuoca del presidente si rivela un film ripetitivo, dal ritmo lento, frequentemente praticato oltralpe ma di fruizione incerta altrove. Se pure Vincent si mostra in grado di cogliere i moti umani e stabilire acute metafore tra corpo e anima, rimane tuttavia intensa la sensazione che l’agrodolce che stava nelle intenzioni del regista si sia perso per strada e in fondo al pentolone sia rimasto piuttosto un composto dolciastro e mal cotto.


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