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L'amore inatteso

15/03/2013 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

L'amore inatteso

Antoine (Eric Caravaca), avvocato parigino ateo e colto, viene invitato dall’insegnante di suo figlio a partecipare ad un incontro di catechesi...

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Antoine (Eric Caravaca), avvocato parigino ateo e colto, viene invitato dall’insegnante di suo figlio a partecipare ad un incontro di catechesi. Dopo l’iniziale sarcasmo e scetticismo nei confronti della comunità religiosa, Antoine sarà sorpreso di scoprire in sé un'inaspettata dimensione spirituale che credeva bandita nel proprio mondo intellettuale e razionale e che gli varrà persino i sospetti di infedeltà della moglie Claire (Arly Jover). Attraverso l’incontro con la fede e l’aiuto della sorella Hortense (Valérie Bonneton), unica a non deriderlo, Antoine riuscirà a risolvere alcuni dei più complicati rapporti della sua vita, dalle ostilità con il rude padre ai difficili silenzi con il figlio.


Dal romanzo Catholique Anonyme, autobiografica opera di successo del marito Thierry Bizot, Anne Giafferi trae la sceneggiatura per una pellicola che narra del singolare e quasi casuale incontro di un uomo materiale e pragmatico, l’affascinante Antoine, con la fede e la spiritualità religiosa. Con uno sguardo acuto e inequivocabilmente femminile, la Giafferi affronta il difficile tema della scoperta di Dio attraverso l’essere figlio e padre, affidando il ritratto cinematografico del protagonista maschile all'interpretazione di Eric Caravaca e circondandolo di interessanti comprimari, come Jean-Luc Bideau – l’algido padre – e Valérie Bonneton – l'angelica sorella Hortense. L’amore inatteso è una trasposizione coraggiosa, della quale va di certo lodato l’aver osato mettere su pellicola un tema di grande profondità come la scoperta della fede da parte della classe media laica; tuttavia, di contro a tanto scavare tra le contraddizioni del protagonista, la pellicola della Giafferi va meno in fondo di quanto proclami. Di contro ad un’intenzione filosofeggiante e semi-teologica, la sceneggiatura incompleta, buonista e prevedibile, più che di un lieto fine, conduce ad un lungo ed estenuante dissertare tra ratio e fede.


Per essere una pellicola che narra della scoperta di un'insperata e provvidenziale spiritualità, è merito di Anne Giafferi fuggire qualsiasi sguardo evangelizzatore e anzi mantenere lungo tutta le pellicola una lieve verve polemica, specie nel dipingere il rapporto fra la Chiesa e i suoi fedeli. Ma proprio in questo presentare - a tratti anche con una discreta e intelligente ironia - gli stereotipi della Chiesa cattolica, i limiti di comunicazione e il mancato incontro fra credenti e atei, che L’amore inatteso appare concettualmente confuso: il rapporto tra l’istituzione Chiesa e i suoi adepti e l’ansiotica ricerca di spiritualità dell’uomo moderno si alternano nel mirino della regista, senza che si punti coerentemente a nessuno dei due. Come se non facesse alcuna differenza, la Giafferi liquida il messaggio cattolico con sbrigativa approssimazione, infondendo invece maggior cura nella raffigurazione psicanalitica della crisi esistenziale individuale, attraverso la gestione complicata dei propri affetti (il figlio, il padre, il fratello, la moglie). Seppure costruita con grande garbo in stile d’oltralpe, tra silenzi e riflessioni, la “conversione” di Antoine, quarantenne benestante e colto, manca il cuore dello spettatore. Mentre lungo tutta la pellicola il film mantiene un certo distacco, solo il monologo finale di Antoine, una soluzione verbosa ma di grande empatia, riporta il film ad una dimensione intima e toccante, ma ormai straniante. Né il ritrovato fervore religioso del protagonista, né il disincantato distacco dei suoi parenti riescono a trovare piena rappresentazione nella pellicola. Se è vero che di un altro tetro film francese, dotato di una morale e di una filosofia del tutto fine a se stesse, il cinema non sentiva certo la mancanza, è altrettanto vero che, colpa anche di un ritmo e di tempi davvero troppo lenti, L’amore inatteso si configura come una versione snob e sterile della parabola del figliol prodigo, che annoia prima ancora di far riflettere. A dispetto della grande profusione di sentimenti diffusi e dell'accuratezza formale, la Giafferi dirige un film ricercato ed elegante, una pellicola di bella grafia ma di contenuto incerto.


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