Federico (Nicolas Vaporidis) è un playboy incallito dalla bugia facile, la cui umanità sembra palesarsi solo attraverso il rapporto con il fratellino Lorenzo (Lorenzo Zurzolo), di cui si deve prendere cura. Al contrario, Riccardo (Andrea Bosca) vive a Milano, riempiendo le sue giornate di un lavoro che non ama. Appassionato di design con uno spiccato senso della moda, Riccardo viene a conoscenza di un finanziamento regionale a sostegno di imprese che si occupano di tendenza. Per realizzare il suo sogno di sempre, il giovane chiederà all’amico d’infanzia Federico di tornare al Sud, in quella Puglia che ha dato loro i natali, e aprire insieme un atelier di moda. Federico accetta, ma i due non sanno che il bando regionale è riservato solo alle coppie di fatto. In una girandola di equivoci e misunderstanding, i due dovranno vedersela con una serie di ostacoli: da Lucia (Claudia Potenza), fidanzata di Andrea, a Carlotta (Giulia Michelini), giornalista che non cede a ricatti e compromessi, che ha iniziato una vera e propria guerra contro la nuova caporedattrice Maria Luisa (Camilla Ferranti), arrivata in cima grazie ad una raccomandazione; il tutto sotto l’occhio vigile di Roberto (Massimo Ghini), capo di Carlotta oltre che omosessuale non dichiarato. Seconda prova registica di Matteo Vicino, sembra, ad una prima occhiata, la brutta copia del film a stelle e strisce Vi dichiaro marito e marito, che vedeva gli interpreti Adam Sandler e Kevin James, amici di vecchia data, fingersi omosessuali per scavalcare un cavillo burocratico apparentemente inutile. Se il film di Dennis Dugan riusciva, tra gag a volte palesemente omofobiche, a trovare una propria via narrativa, Outing - Fidanzati per sbaglio decide di prendersi troppo sul serio, tanto che il termine commedia si sposa a fatica con un film che non riesce a strappare più di qualche sporadica risata. Il tentativo di creare una pellicola politicamente scorretta, volta a portare alla luce pregiudizi e ingiustizie che gli omosessuali sono costretti a subire nel ventunesimo secolo, fallisce miseramente. Da una parte Matteo Vicino sembra essere incapace di gestire la materia filmica: la sua regia è discontinua e altalenante, incapace di scegliere il giusto timbro da adottare. Dall’altro la sceneggiatura non riesce a procedere di pari passo con le intenzioni registiche; il desiderio di creare una miscellanea di generi, per restituire l’immagine sgraziata di un’Italia arretrata, decade a favore di un mero esercizio stilistico dai risultati discutibili. Dove Vicino si mostra più a suo agio è nella descrizione dei personaggi: il cast portato in scena risponde con volenterosa partecipazione alla chiamata del regista. Peccato, però, che anche la migliore interpretazione rischia di venir rovinata da una caratterizzazione psicologica stereotipata, costruita su cliché banali e ormai vieti. Della pretesa di denuncia sociale non resta altro che un alone di snobismo che lo spettatore avverte per tutta la durata del film e che gli impedisce di godersi a pieno lo spettacolo. In questo senso Outing è una commedia dozzinale, scritta con intenzioni ben diverse dal risultato ottenuto: una caotica accozzaglia di elementi appena suggeriti, con citazionismi che vorrebbero risultare colti ma che si perdono nella risma di carne messa al fuoco, e dove l’unico elemento di luce è dato dalle prove degli attori scritturati.