Durante le celebrazioni del 4 luglio americano, un gruppo di estremisti nordcoreani attaccano la Casa Bianca e prendono in ostaggio il Presidente degli Stati Uniti, Benjamin Asher (Aaron Eckhart), e alcuni tra i suoi più stretti collaboratori. Solo l'ex responsabile della sicurezza del Presidente, Mike Banning (Gerard Butler), allontanato dalla Casa Bianca in seguito alla morte della first lady, è in grado di difendere il palazzo presidenziale, offrendo la sua esperienza al vice presidente Allan Trumbull (Morgan Freeman). Secondo uno studiato ordigno di azione-reazione, sempre, in concomitanza con le crisi internazionali, il cinema statunitense ha in serbo un nuovo prodotto filo-americano da distribuire e sul quale saggiare le coscienze, proponendo l’eterna disputa tra la terra americana delle libertà e i più diversificati antagonisti. Se prima dell’11 settembre la minaccia di un’invasione del suolo americano era un soggetto da fantascienza, da poco più di un decennio l'irruzione del nemico nei sacrari della politica statunitense è diventato un pericolo sentito e slittato alle più dispendiose - ed irreali - sceneggiature di thriller e action movies. Stavolta autore dell’ennesima catastofe bellico/nucleare è Antoine Fuqua - regista di Training Day, premio Oscar al protagonista Denzel Washington - che dirige uno dei più cruenti attacchi cinematografici alla Casa Bianca, “l’Olimpo” moderno, luogo apparentemente inviolabile invece profanato da misteriosi ribelli nordcoreani. Unico uomo in grado di combattere contro il nemico orientale – assente nella rappresentazione hollywoodiana, in favore del barbaro talebano, ormai da decenni - è il “rinnegato” Mike Banning, agente dei servizi segreti in crisi esistenziale poiché ritenuto responsabile della morte della first lady. Solo disimpegnatamente appoggiato – a scopi per lo più di marketing e commercializzazione del film - sull’attualità delle tensioni fra USA e Corea del Nord, a fare di Attacco al potere una pellicola sufficientemente riuscita è in realtà l’alto contenuto di azione, maneggiato con sapienza da un regista che trova in esso la propria materia filmica privilegiata. L’ultima pellicola di Antoine Fuqua è un perfetto prodotto di consumo di Hollywood, costata quasi 80 milioni di dollari e affidata ad un cast di divi dell'action che – coerentemente con l’era Obama del cinema USA – affianca all’eroe americano Butler, un ponderato e molto più empatico co-protagonista nero, Morgan Freeman, ricetta di sicuro successo. Fatta eccezione per il contenuto adrenalinico e per uno spettacolo pienamente ascritto nel suo genere di appartenenza - attraverso un ritmo rapido, interpretazioni atletiche e possibilità di mezzi ed effetti speciali - Olympus has fallen non aggiunge niente di nuovo ai topoi hollywoodiani degli ultimi cent’anni di pellicole d'azione. Un outlaw hero come protagonista – Gerard Butler, che il cinema USA contemporaneo ha decretato suo moderno John Wayne -, un retrogusto di retorica patriottica e una “sceneggiatura canovaccio”, di pochi banali dialoghi e di molta azione. Se negli USA il film ha suscitato (lievi) polemiche per l’ostentata violenza di cui vengono resi protagonisti i nordcoreani (critiche che sembrano rievocare le stesse mosse al western prebellico), inusitatamente crudeli allo scopo – a detta anche dello stesso regista - di suscitare indignazione patriottica, in Italia tali obiezioni appaiono quanto di più lontano possa esistere dalla pellicola di Fuqua, colpevole solo di suscitare nello spettatore poco o niente, se non qualche adrenalinico sussulto.