Degenerazioni mentali, follie omicide, delitti seriali. Nessuno come Alfred Hitchcock è stato in grado di entrare nella mente di un serial killer. Solo lui ha portato sul grande schermo verità scomode e realtà allucinate riscuotendo un grande successo di pubblico e, contemporaneamente, contribuendo a creare un genere nuovo: il mistery. Hitchcock, ultimo lavoro di Sacha Gervasi - regista del documentario Anvil: The story of Anvill, svela la persona dietro il personaggio e racconta l’uomo prima del mito, svelandone segreti e debolezze. Ispirandosi all’omonimo romanzo di Stephen Rebello, la pellicola punta l’attenzione sul controverso rapporto di amore morboso e odio incondizionato che il regista londinese nutriva per le sue protagoniste. Luglio, 1959. Alfred Hitchcock (Anthony Hopkins), dopo il successo di Intrigo Internazionale, decide di dedicarsi alla trasposizione cinematografica del romanzo Psycho. Davanti alla difficoltà di trovare un produttore disposto a finanziarne la realizzazione, Hitchcock e sua moglie Alma Reville (Helen Mirren) decidono di ipotecare la loro lussuosa casa. Nonostante i problemi economici e sentimentali, i due riusciranno a realizzare una pietra miliare della storia del cinema. Inquadrature a strapiombo, carrellate laterali e vertiginosi primi piani, erano i tratti distintivi dei cosiddetti gialli à la Hitchcock, che valsero al loro autore l’appellativo di “maestro del brivido”. Essendo incentrato su un regista funambolico perennemente sul filo del rasoio, e su un uomo bizzarro ossessionato dal lavoro al punto da farne la sua unica ragione di vita, Gervasi ne ripropone il pensiero e l’arte. Ecco dunque che la pellicola si rivela, subito, un’opera devozionistica nei confronti del genio creativo: quello dell'artista che, nonostante le apparenze, riesce ad esprimersi solo quando viene supportato e guidato dalla compagna di vita Alma, sceneggiatrice fidata e anima gemella. Parallelamente al deteriorarsi del loro rapporto, la carriera del regista sembra aver raggiunto un punto di stasi, destinato a finire solo quando l’uomo e la donna si (ri)conoscono come le due facce della stessa medaglia. Le altalenanti musiche di Danny Elfman riflettono le ossessioni psichedeliche del protagonista, confondendone realtà e finzione, sogno e incubo, cinema e vita. Picchi di tensione sotto forma di insostenibili climax crescenti si rivelano i veri assi nella manica di un abile direttore d’orchestra che immette gli spettatori, volenti o nolenti, all’interno della finzione scenica e li rende, nello stesso tetmpo, vittime e carnefici della storia. La pellicola, opera estremamente voyeuristica basata sulle magistrali performance di Antony Hopkins e Helen Mirren, si rivela una costante mise en abyme, una vera e propria finestra su un mondo mentale concentrico ed estremamente stratificato, come è sempre l'universo cinematografico.