Per una serie di equivoci, Taddeo Jones, muratore con la passione per l’avventura, viene scambiato per il professor Humbert, famoso archeologo, e mandato in Perù per una spedizione. Aiutato da fedeli amici e dalla bella studiosa Sara, Taddeo parte così alla ricerca della Città Perduta Inca di Paititi, che dovrà salvare da una banda di spietati trafugatori di tesori. È il 2003 quando Enrique Gato, classe 1977, spagnolo di Valladolid, animatore con un passato nei videogiochi, dà vita al suo più noto personaggio, quello che ne farà la fortuna come regista: Tadeo Jones, esploratore pasticcione e sognatore, archeologo per caso. Prima di approdare al lungometraggio, Gato fa di Tadeo il protagonista di due corti premiati, tra gli altri, con il Goya all’animazione e selezionati per gli Oscar. A quasi cinque anni dall’uscita del più recente cortometraggio, Tadeo Jones y el sótano maldito, l’ambizioso regista torna al cinema con un progetto più esteso: una produzione interamente spagnola, un tentativo interessante coltivato nell’alveo dell’animazione indipendente. Le avventure di Taddeo l’esploratore arriva in Italia dopo quasi un anno dalla sua uscita spagnola. Gato propone al pubblico un personaggio quasi del tutto sconosciuto - tratto dai fumetti di Javier López Barreira e Gorka Magallón - con la stessa fiducia riposta in un eroe dei cartoon tra i più noti, dando per scontato che lo spettatore ne sia immediatamente conquistato. E invece il goffo esploratore è un carattere che fa sorridere per la sua ingenuità , una rosea parodia di Indiana Jones, romantico e fantasioso, ma di poco spirito e di grandi lacune soggettistiche. Un bambino con la passione per l’archeologia e l’avventura, costretto in età adulta a fare il muratore e sbalzato per caso in un'esplorazione ai limiti degli imperi Incas e Maya. Taddeo Jones diverte ma non conquista e, soprattutto – con le sue tenui avventure e il suo malcelato citazionismo, soprattutto del mondo Pixar - è un personaggio che può sperare di fare presa unicamente sui più piccoli: troppi i buoni sentimenti, evidente la volontà didattica, palese e fallace il tentativo di strappare qualche risata in più attraverso i comprimari animati, come il venditore ambulante Freddy o il buffo pappagallo o la bella Sara, una novella Lara Croft de-eroticizzata, di cui l’esploratore si innamora follemente. Sebbene sia costato a Enrique Gato più di otto anni di lavoro e alla produzione un notevole dispendio di mezzi, il primo lungometraggio dell’animatore spagnolo è un’opera grezza, che non compete né a livello tecnico (nonostante una buona realizzazione grafica) né contenutisticamente con i film delle grandi case Pixar e Dreamworks: non solo fatica visibilmente a tenere alto il ritmo lungo tutta la durata, ma finisce per arrancare a tratti in banalità sentimentali, personaggi clichè (come l’avido messicano, compagno di avventure di Taddeo) e soprattutto in un finale moralizzante, buonista e stantio, inverosimilmente proponibile ai bambini del nuovo millennio.