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La scelta di Barbara

07/04/2013 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

La scelta di Barbara

Barbara (Nina Hoss), un medico pediatra, viene punita per aver chiesto un visto di espatrio dalla Germania dell'Est...

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Barbara (Nina Hoss), un medico pediatra, viene punita per aver chiesto un visto di espatrio dalla Germania dell'Est. È l'estate del 1980 e il provvedimento disciplinare che colpisce la donna la obbliga a lasciare Berlino per un paese dove è costretta a vivere sotto il controllo vigile e sospettoso della Stasi. Con gli occhi della polizia segreta puntati addosso, Barbara non aspetta altro che ricongiungersi con Jorg (Mark Waschke), l'amore lasciato a Berlino che sta progettando per lei la fuga. Tuttavia l'abnegazione al proprio lavoro e la conturbante figura di Andrè (Ronald Zehrfeld), un collega seducente che sembra avere piena fiducia in lei, la destabilizzano. In chi riporre la propria fiducia? In una sorta di proverbiale lotta contro il tempo, Barbara dovrà fare i conti con i propri progetti, le proprie speranze e i propri sentimenti, mentre l'apparentemente invalicabile muro di Berlino veglia sul suo destino.


Negli ultimi anni di produzione cinematografica i ritratti della Germania dilaniata dalla ferita monumentale del muro di Berlino sono stati riempiti di luci fredde e toni cupi, volti a rimandare l’immagine di un paese e di una società sottomessi ad un inumano sistema dittatoriale; basti pensare a Le vite degli altri di Florian Henckel Von Donnersmarck, dove l’atto umano di un agente segreto appariva fuori tempo massimo in un contesto storico che sembrava votato all’annientamento individuale. Il primo obiettivo che il regista Christian Petzold si prefissa nel suo La scelta di Barbara è dipingere una Germania dell’Est lontana dai canoni che la vogliono semplicemente grigia e glaciale: l’impianto scenico che costruisce attorno all’intensa interpretazione della sua protagonista Nina Hoss è ammantato di calore e di vita, nel senso più ampio del termine. La vita che viene rappresentata è quella piena di luci e ombre, di fatti divertenti, ma anche di solitudine, di imbrogli e di terrore. Barbara, ad esempio, vive la sua attrazione per Andrè come un incubo: da un lato è irretita dal collega che la aiuta e la sostiene, che la guarda con palese interesse e stima, ma dall’altro è consapevole di vivere in un mondo dove la fiducia è un sogno utopistico.


Petzold affida la narrazione alla forza delle immagini: i dialoghi sono ridotti all’essenziale, in una riflessione silenziosa sulla Storia e, soprattutto, su come essa possa riflettersi sulla quotidianità di esseri umani qualunque, che non si distinguono per doti eccezionali, ma che al contrario si amalgamano alla massa. Barbara è una donna consapevole, in qualche modo sensuale ed empatica, che si aggrappa al lavoro – e alla propria bravura in esso – per non andare alla deriva, per avere qualcosa di concreto e solido in cui credere, quando anche la fiducia in se stessa comincia a svanire. La scelta di Barbara è un film sul controllo e sulla mancanza di esso, sulla solitudine e sull’umano desiderio di abbatterla, proprio come il muro che fino al 1989 ha diviso la Germania in due entità vicine ma lontane, malvagie nel loro essere così prossime e irraggiungibili l'una con l'altra. Tuttavia, proprio per questo suo lato estremamente riflessivo, per quei lunghi silenzi che accompagnano le immagini, la pellicola non gode di un ampio respiro, destinata com'è ad un pubblico ristretto, ma che ha comunque il merito di offrire agli spettatori il sapore acre della vita, dove la felicità viene fin troppo spesso oscurata da umiliazioni individuali e limitazioni alla propria libertà.


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