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Voices

09/04/2013 10:00

Giacomo Ferigioni

Recensione Film,

Voices

Si prenda un gruppo di giovani tra i diciotto e i venticinque anni, una cornice da classico college americano, un diffuso mestiere vocale che, come da tradizion

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Si prenda un gruppo di giovani tra i diciotto e i venticinque anni, una cornice da classico college americano, un diffuso mestiere vocale che, come da tradizione di genere, non manchi di toccare democraticamente qualunque personaggio metta piede sulla scena. Si unisca quindi il tutto, lasciando che le varie dinamiche degli eventi vengano influenzate da una competizione canora alle porte. I risultati di simili misture hanno portato, negli ultimi anni, i fortunati e fin troppo noti titoli di High School Musical e Glee.


Pitch Perfect, nella sostanza, non fa altro che dare voce alle idee che i due show già avevano fatto loro attraverso una forma cinematografica appropriata. Aggiungendovi qualche salutare variazione sul tema: partendo dai protagonisti, leggermente più stagionati - e con un nuovo, risaputo corredo di dinamiche familiari e sentimentali -, passando per un repertorio che spazia lungo trent'anni di musica (c'è spazio per Rihanna e Pitbull così come per Pat Benatar e i Simple Minds), arrivando poi alle canzoni vere e proprie, eseguite a cappella. Quest'ultima scelta non solo evita al film le artificiose basi su cui i protagonisti, di norma, liberano le proprie voci, ma permette anche allo spettatore meno giovane di ampliare il proprio spettro di suggestioni, arrivando a ricongiungere le esibizioni canore di Voices con i gospel che Sister Act - nientepopodimeno - metteva in scena oltre vent'anni fa.


Ma se il film della Ardolino, nel suo trasformare l'esibizione gospel in spettacoli assimilabili ad un concerto rock, raccontava dell'insita necessità di non adagiarsi ad un canone (qualunque esso fosse), Pitch Perfect sceglie invece di percorrere binari ben più generici e ottimisti, sostituendo al desiderio di ribellione il conformismo plasticoso e rassicurante di una sceneggiatura studiata al millimetro. Laddove Sister Act poteva contare sulla verve straordinaria e per certi versi dissacrante della propria protagonista Whoopi Goldberg, il film dell'esordiente Jason Moore preferisce affidarsi all'alchimia e al professionismo di giovani promesse, Anna Kendricks in testa. Ciò che ne risulta è gradevole e, al netto di qualche caduta nello scatologico, pure divertente, ma privo di quel quid che gli avrebbe permesso di trovare consensi al di fuori del canonico pubblico di riferimento.


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