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Le streghe di Salem

29/04/2013 11:00

Paolo Sammati

Recensione Film,

Le streghe di Salem

Heidi Hawthorne è una donna forte ed indipendente che lavora come dj per una radio locale della sua città, Salem in Massachussets...

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Heidi Hawthorne è una donna forte ed indipendente che lavora come dj per una radio locale della sua città, Salem in Massachussets. Non può immaginare la spirale di orrore e morte in cui verrà presto trascinata quando riceve una scatola contenente il vinile con la firma dei cosiddetti Signori di Salem.


Giocando con tutti gli elementi canonici del genere horror e facendo leva su una mitologia oscura che ricorda i terrificanti roghi delle streghe del ‘600, Rob Zombie si rivela in grado di dare forma ai propri stilemi pur avendo a che fare con l'incombente possibilità di scivolare in modalità narrative sin troppo note ad un pubblico ormai difficilmente impressionabile. Eppure, non mancando di rispettare tutti i paletti imposti dal genere di appartenenza, Zombie trova la via verso un’originale impronta visiva, in grado di coprire i difetti di un finale narrativamente più debole rispetto al resto del film, ma votato verso sequenze volutamente kitsch, gustosamente dissacranti nei confronti di un genere - l’horror - che spesso si prende troppo sul serio.


Se quindi nell’ultima parte l’intreccio trova la propria soluzione in maniera abbastanza prevedibile, a salire in cattedra sono i tableaux vivant imbevuti di cultura pop da sempre cari ad un regista che non rinuncia alla consueta sfilata caricaturale di mostri e bestie demoniache de La Casa Dei 1000 Corpi, inseriti ancora una volta in un’atmosfera in grado di generare un’inquietudine lisergica e claustrofobica. La protagonista Sheri Moon Zombie diventa agli occhi della macchina da presa un oggetto da indagare, come se il suo corpo possedesse un indizio del male imminente. L’attrice, moglie del regista, è continuamente in scena tradendo magari un’espressività poco cangiante, ma rivelandosi in fin dei conti efficace. L’ossessivo indugiare di Zombie sui corpi, sulla fisicità delle streghe (tra le quali un’inquietante Meg Foster), sembrerebbe suggerire l’idea che proprio nell’assoluta bellezza del corpo umano e nella sua inevitabile decadenza debba essere rintracciata un’affinità con le forze del male, evocate attraverso la sensualità disturbata di reiterati riti ancestrali. Cercando di alzare l’asticella qualitativa rispetto ai suoi precedenti, Rob Zombie andrà probabilmente incontro all’accoglienza dicotomica alla quale pare essere condannato, quella a metà strada tra la denigrazione e l’ammirazione. In fin dei conti, per un polimorfo ed eclettico personaggio come il 48enne statunitense, musicista oltre che regista e sceneggiatore, non è forse la provocazione - la spinta verso sentimenti ed impressioni discordanti - l’aspirazione massima?


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