11 settembre 1683. Vienna, la “mela d'oro” d'Europa, è tenuta sotto assedio da un esercito di trecentomila guerrieri ottomani guidati dal Gran Visir Kara Mustafa (Enrico Lo Verso). Sventolando il vessillo islamico che si dice appartenuto a Maometto stesso, il Visir è mosso da un sogno: arrivare a piantare la bandiera musulmana a Roma. Oltre a un esercito austriaco di poche migliaia di uomini, Kara Mustafa dovrà affrontare la dura opposizione di Marco d'Aviano (F. Murray Abraham), impetuoso predicatore cappuccino, e del sovrano guerriero Jan III di Polonia (Jerzy Skolimowski). Sin dai tempi di Ben Hur e Aleksandr Nevskij, la principale difficoltà che un regista può incontrare nella direzione di un film storico (oltre a non avere budget) è quella di decidere fin dal principio verso dove puntare lo sguardo: alla ricostruzione di un'epoca passata, all'attualizzazione o alla profezia di uno scenario futuro? Solo se questo proposito appare chiaro sin dall'inizio nella mente dell'autore, sarà di conseguenza efficace la fascinazione sul pubblico e – più o meno volontariamente – il suo indottrinamento mediante tesi dichiarate o implicite. Con la sua ultima pellicola, la più recente dopo un passato di film storici e biografici come Vajont – La diga del disonore (2001) o Carnera – The Walking Mountain (2008), Renzo Martinelli recupera un tema già affrontato nel 2006 con Il mercante di pietre, quello del conflitto tra Islam e Occidente, inserendolo stavolta in un film in costume. L'Assedio ottomano di Vienna del 1683 raccontato secondo una coincidenza di date – l'11 settembre di ieri e l'11 settembre della nostra contemporaneità – a sostenere una tesi pretestuosa quando scontata: l'eternità del contrasto fra una fragile Europa cristiana e un bellicoso impero musulmano. Di contro a una messa in scena ingenua, ma comunque in grande stile, Martinelli sostiene - in una sceneggiatura redatta in collaborazione con lo scrittore Valerio Massimo Manfredi - una tesi debole da accettarsi, fondata su luoghi comuni storici e avallata da personaggi stereotipati, come l'esaltato Visir, l'ascetico Marco d'Aviano o il bellicoso sovrano di Polonia Jan III. In 11 settembre 1683 nulla sembra andato nella direzione auspicata: i dialoghi, completamente imbevuti di retorica guerresca, patriottismo ante-litteram e fanatismo religioso, sfiorano il comico; le scenografie e i costumi, tanto quanto gli effetti (non troppo) speciali, ricordano tristemente le produzioni di Martinelli per la televisione, pellicole sfortunate come il Barbarossa del 2009. Soprattutto però, non è chiaro quale sia oggi lo scopo di quest'opera, che racconta una guerra lontana 330 anni, se non il fine apparente di trovare un'attualità nello scontro tra Islam e Cristianesimo alla fine del Seicento. Il tentativo di appoggiarsi alle tesi (discutibili) dell'islamologo Bernard Lewis - che comparano i due attacchi al cuore dell'Occidente di ieri (Vienna) e di oggi (le Twin Towers di New York) – appare un espediente utilizzato più a scopi commerciali che un vero impianto di idee su cui poggiare un tema tanto scivoloso. Nella storiografia i nessi tra moderno e contemporaneo necessitano sempre di una ponderata cura critica: Martinelli pare invece considerare la sua opera filmica esentata dal dovere di rendere conto di una ricostruzione storica legittima. Il risultato è confuso, chiassoso e kitsch.