Il regista e attore teatrale partenopeo Eduardo Tartaglia, ad undici anni dal suo esordio cinematografico con Il mare, non c’è paragone, torna dietro la macchina da presa con una commedia degli equivoci per raccontare, ancora una volta, frammenti della nostra realtà attraverso il linguaggio inconfondibile del teatro classico di tradizione. Riunito, per l’occasione, un cast di tutto rispetto: oltre allo stesso regista nel ruolo del protagonista sono presenti, tra gli altri, l’immancabile Veronica Mazza e Francesco Pannofino. Catello (Eduardo Tartaglia) è un marittimo napoletano giunto al capolinea del suo matrimonio. Imbarcatosi su una nave mercantile diretta verso le coste africane si ritrova suo malgrado vittima di un sequestro, ad opera di spietati pirati, insieme ad altri tre connazionali: Giulio (Francesco Pannofino), un professore universitario, e la sua assistente, Mirella (Giorgia Surina), impegnati in un progetto di ricerca per la Facoltà di Biologia Marina dell’Università di Milano, e Stefania (Veronica Mazza), una facilmente irritabile parrucchiera di Napoli assunta in precedenza da una nobil donna per curarle il look durante la crociera di fine anno. I quattro protagonisti della storia dovranno unire le forze per sopravvivere a questa imprevista avventura, tra paesaggi mozzafiato e pericoli nascosti dietro ogni angolo. Sulle loro tracce si metteranno Matteo (Maurizio Mattioli), cognato effervescente di Catello, ed il padre di Stefania, Don Alfonso (Ernesto Mahieux). L’avventura è appena cominciata. Difficile definire quest’ultima fatica di Tartaglia un’opera pienamente riuscita. Sono un signore, sono un pirata non riesce a catturare la completa attenzione dello spettatore peccando proprio laddove dovrebbe trovare la sua vera essenza: il ritmo del racconto. Per quasi tutte le due ore del film non si fa altro che assistere alle grida eccessive della coppia Tartaglia-Mazza, che di elevare il prodotto al di sopra del mero stereotipo non ne hanno nessuna voglia - in aggiunta ad una spaesata Giorgia Surina in crisi d’identità . A salvarla interviene, in modo assai poco credibile, il collega Pannofino, capace solo con l’espressività del viso di porre rimedio alla noia che dilaga tra il gruppo di sequestrati. Battute reiterate e situazioni già viste sono niente in confronto ad una messa in scena davvero povera che spegne nello spettatore ogni speranza di essere coinvolto appieno nella vicenda. Non è comunque tutto da buttare: si salvano un paio di sketch (Tartaglia e Pannofino, insieme da soli, funzionano) e la simpatia deflagrante di Mahieux e Mattioli, i quali rendono meno indigesto questo ibrido cinematografico che, a dispetto delle reali intenzioni, non riesce ad andare oltre la classica farsa napoletana.