Pochissime figure, nell’Italia dal secondo dopoguerra in poi, hanno avuto l’impatto, la forza e la poliedricità di Giovanni Lindo Ferretti. Musicista, artista, pensatore: la sua carriera trentennale ha influenzato più di una generazione, contagiata dal suo pensiero schietto, profondo e mai conforme alla massa. Il centro gravitazionale della sua carriera è costituito senza dubbio dai CCCP Fedeli alla Linea, leggendario gruppo che Ferretti contribuisce a fondare nel 1982 e attivo per otto anni: i CCCP hanno avuto il merito di portare nell’Italia degli anni ’80 l’ondata rivoluzionaria del punk che stava travolgendo l’Europa da anni. Comunista e filosovietica, la band ha legato indissolubilmente il suo nome all’Emilia rossa di quegli anni e a un PCI militante che stava entrando nell’ultima fase della sua storia europea. Il giovane regista bolognese Germano Maccioni ripercorre attraverso il documentario le tappe più importanti della vita di Ferretti fino ai giorni nostri. In sé la collazione di documenti filmati operata dall’autore si basa su video ben noti ai fan ma il tono sempre delicato della narrazione e i commenti del leader dei CCCP rendono il racconto particolarmente intenso e appassionante. Nato a Cerreto Alpi, nell’Appennino emiliano, in un paese che “ha vissuto un lunghissimo Medioevo fino alla costruzione della strada asfaltata”, Ferretti vive in una tipica famiglia di contadini e allevatori e qui nascerà lo stretto e vitale legame con la sua terra e in particolare con i cavalli. La partecipazione alle selezioni per lo Zecchino d’Oro, il viaggio nella Berlino degli anni ’70, i difficili rapporti con la madre, la militanza tra le file di Lotta Continua, la lunga carriera come frontman dei CCCP prima e dei CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti) poi, fino ai PGR (Per Grazia Ricevuta), la lotta contro la malattia, l’epifania in Mongolia e il riavvicinarsi alle sue radici contadine e cattoliche. Maccioni ripercorre fedelmente le tappe della vita e della carriera del cantautore, una ringkomposition che ha riportato l’artista emiliano alle sue origini e al centro del suo nuovo progetto: un teatro equestre “barbaro”, senza luci o artifici di sorta, senza messaggi da comunicare, ma che ripercorra il millenario legame che unisce l’uomo e la montagna ai cavalli. A colpire particolarmente sono le pagine meno conosciute, quelle più recenti del ritorno a casa e della “conversione”, così invisa a molti dei suoi fans storici: Ferretti non usa mai questo termine, preferendo parlare di un “ritorno alle sue origini e alla sua educazione cattolica”, come logico esito di un percorso filosofico-politico-intellettuale che lo aveva portato lontanissimo senza riuscire a fornirgli le risposte che stava cercando. Un documentario breve ma intenso, delicato e ricchissimo di spunti di interesse: una fedele ricostruzione del pensiero di uno dei più influenti artisti italiani degli ultimi quaranta anni. Distribuito da Cineteca di Bologna, Articolture e Apapaja. Potrebbe essere davvero una piacevole sorpresa nel panorama cinematografico nazionale.