«Quest’uomo è un fenomeno. Un fenomeno più grande degli attacchi che gli dedicano i media americani». Queste le parole che il regista Oliver Stone dedica a Hugo Chàvez, l’uomo che dal 1999 al 5 marzo del 2013 ha guidato il Venezuela, attirando su di sé gli occhi del mondo per scelte controverse e ambigue. Ora, mentre il paese sudamericano torna alle urne per scegliere la nuova guida, Movimento Film riporta al cinema, per la giornata del 16 Aprile, il documentario dedicato alla figura assurta a vera e propria entità demoniaca dai media americani - contro i quali il regista di Looking for Fidel si scaglia tutt’altro che velatamente. L’uomo che nel 2006 definiva George Bush “il diavolo” e che è passato come uno dei più pericolosi dittatori della storia contemporanea viene descritto come uomo complesso, seguito e spiato per la sua natura di personaggio emblematico, che ha cambiato il volto di un paese "a sud del confine con gli Stati Uniti" (come recita il titolo originale della pellicola). Nei 78 minuti di durata, dove documentario e finzione sembrano prendersi per mano, Stone raggruppa tutte le interviste che ha collezionato dal 2007 al 2009, quando insieme alla sua troupe tagliò l’America Latina, attraverso la Bolivia di Morales, il Brasile di Lula da Silva e così via, a seguito del presidente venezuelano Chàvez. Ad emergere è la figura di un uomo che ha tentato di ricostruire rapporti socioeconomici con gli Stati Uniti, rappresentati come il vero uomo nero del racconto, capaci di aborrire chiunque non risponda ai propri canoni politici e ideologici. Presentato in anteprima alla 66^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove Chàvez sfilò sul red carpet come una vera e propria star di Hollywood, South of the Border è un road movie che alla voglia di raccontare e mettere in scena il ritratto - secondo il regista - ritoccato dal giornalismo a stelle e strisce, alterna sequenze di natura narrativa. Lungi dal difendere o condannare il presidente che dà il titolo alla pellicola, Stone parla al suo pubblico riguardo alla percezione: non tutto quello che viene divulgato corrisponde necessariamente alla verità, specie se pregiudizi di stampo nazionalistico disturbano il lavoro ontologico di qualsiasi sforzo giornalistico. A questo proposito è esemplare la scena che apre il documentario, in cui una giornalista confonde la parola “cocoa” con “cocaina”, rimandando così l’immagine distorta di un uomo a causa di un malinteso linguistico.