Operazione nostalgia per Giorgio Bruno: il giovane regista, con Nero Infinito, prova a rinverdire l’antica e fortunata tradizione del thriller italiano anni ’70 che ha ispirato innumerevoli registi successivi, a partire da Quentin Tarantino naturalmente, raggiungendo spesso picchi elevatissimi di qualità nonostante budget quasi mai congrui. Una città del sud Italia è sconvolta dagli omicidi di un serial killer: le vittime sono tutte giovani ragazze, orribilmente torturate prima di essere uccise. Sulle tracce del maniaco si mettono gli ispettori Elena D’Acquino (Francesca Rettondini) e Valerio Costa (Rosario Petix), le cui indagini portano direttamente alla scrittrice Dora Pelser (Egle Doria), dato che gli omicidi ricalcano in tutto e per tutto quelli descritti nei suoi romanzi. Tra i sospettati vi sono anche il suo editore e amante Piero Mazzoni (Riccardo Maria Tarci) e il barista-fan Leo (Giuseppe Calaciura). La lunga catena di omicidi si spezzerà solo dopo una difficile ricerca. Se il tentativo del regista siciliano è apprezzabile, il prodotto complessivo non raggiunge nemmeno la sufficienza: recitazione a tratti amatoriale (discreto comunque Petix), sceneggiatura pesantemente campata in aria, ironia poco incisiva e imprecisioni nel montaggio appesantiscono notevolmente la visione che ha comunque il pregio di crescere con il passare dei minuti e l'evolversi della vicenda, grazie anche al buon impatto visivo della “stanza delle torture”, sufficientemente angusta, sporca e tetra. Apprezzabile l'idea di far comparire in brevi camei i registi del cinema di genere: Enzo G. Castellari è il commissario di polizia, Ruggero Deodato lo psichiatra, Claudio Fragasso lo squinternato amico e collega dell'ispettore Costa. Bruno prova a reinventare la lezione di Argento e dei grandi maestri del thriller italiano ma non riesce ad andare al di là di un mero omaggio senza significative valenze artistiche.