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Ti ho cercata in tutti i necrologi

07/06/2013 11:00

Paolo Sammati

Recensione Film,

Ti ho cercata in tutti i necrologi

Una partita a poker dopo il lavoro, ovvero dopo l’ennesimo funerale...

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Una partita a poker dopo il lavoro, ovvero dopo l’ennesimo funerale. Nikita (Giancarlo Giannini) ha lasciato l’Italia da molti anni, trasferendosi in Canada e lavorando per un’agenzia funebre. Ha dimestichezza con la morte ed un certo vizio per il gioco. Una sera il tavolo verde si fa più importante, i soldi più grossi, la compagnia altolocata. Per estinguere il debito contratto Nikita accetta di partecipare come preda ad una caccia all’uomo: 20 minuti lo separano dai suoi creditori che, fucile alla mano, avranno quel lasso di tempo per stanarlo ed ucciderlo. Sopravvissuto, estinto così il debito, l’uomo si rende conto di non poter fare a meno di essere cacciato, braccato da una morte che sembra non riuscire proprio a raggiungerlo. Nikita entrerà in un abisso oscuro, perverso, dove incontrerà Helena (Silvia De Santis), una giovane donna che complicherà ancor più le cose.


Alla sua seconda esperienza dietro la macchina da presa, Giannini sceglie di raccontare l’ambigua storia di un personaggio che corre sul margine scivoloso della vita, di un passato appena accennato. Un uomo che, travolto dagli eventi, deciderà di abbandonarsi alla catarsi di un’esistenza che pare non avere poi tanto da dare. I suoi sogni non hanno aspirazioni esistenziali, vorrebbe mettere insieme qualche migliaio di dollari per potersi permettere una Mercedes, e la sua irreparabile solitudine non è consolata dalla compagnia di Ines (Mary Asiride). Rifiutandosi di costruire un discorso a tesi, Giannini crea un protagonista bipolare, a tratti indecifrabile, quasi nauseato dalla vita eppure irrimediabilmente spinto dall’istinto di sopravvivenza. Persino la recitazione, come sempre magistrale, potrebbe essere definita asincrona, non convenzionale, atta a non dare troppa importanza a quel che si dice, in un continuo gioco di negazioni e dissimulazioni. Il regista settantunenne sembra impostare una riflessione, mai esplicitamente dichiarata, sul tempo che passa, l’avvicinamento della morte e la necessità di liberarsi dei propri demoni allontanandoli con l’azione, l’atto che va oltre l’opportunismo della propria materiale e miserabile sopravvivenza. A distanza di ventisei anni da Ternosecco, Giannini dirige un film spesso macchinoso, ma apprezzabile per due ragioni: la testimonianza dello smisurato amore dell’autore per la forma d’espressione cinematografica, ricco com’è di citazioni e riferimenti - da John Huston a Fritz Lang - ed il gusto per l’eccentrico e l’eccessivo che sono indiscutibilmente segni distintivi del Giancarlo Giannini che abbiamo sempre amato.


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