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La religiosa

09/06/2013 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

La religiosa

Nella cupa Francia dell'VIII secolo, la giovane Suzanne (Pauline Etienne), ultima figlia di una casata nobiliare in repentino declino, viene costretta, contro l

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Nella cupa Francia dell'VIII secolo, la giovane Suzanne (Pauline Etienne), ultima figlia di una casata nobiliare in repentino declino, viene costretta, contro la sua volontà, a prendere i voti, dedicando la propria vita a Dio. Forte di una fede pura, Suzanne – nonostante l’alito di libertà che le soffia sulle spalle – apprezza la vita monacale, grazie anche ad una madre superiora buona e paziente. Quando questa, però, muore, la vita di Suzanne si trasforma in un inferno. La nuova superiora pare non avere altra missione al mondo che umiliare e vessare la giovane sedicenne che, se da una parte si rende conto che la propria fede non è abbastanza forte da giustificare una vera vocazione, dall’altra si vede sempre più respinta dalla propria famiglia, che la tratta alla stregua di una bestia sconosciuta. Sballottata da un monastero all’altro, sempre alla ricerca di una via di fuga da una vita in cui è stata catapultata come prigioniera, Suzanne farà l’incontro con una terza madre superiora (interpretata da Isabelle Huppert), che sembra sviluppare un’insolita quanto morbosa attrazione per la ragazza.


Liberamente ispirato all’opera dello scrittore e teologo francese Diderot, La religiosa di Guillaume Nicloux arriva a cinquant’anni di distanza dalla prima trasposizione dell’opera, per mano di Jacques Rivette. Il risultato è un’opera prepotentemente immersa in una vena di crudo realismo, che rifugge qualsiasi afflato di misticismo o di grottesca rappresentazione della perversione. Nicloux, lungi dall’indossare gli scomodi panni di un voyeurista occasionale, punta la macchina da presa in un valzer di tensione crescente, su un’eroina del passato, senza però sfidarne il carattere patetico o empatico. La protagonista non è una donna ribelle che viene chiusa in convento come punizione per il suo carattere indomabile; né, tantomeno, una giovane che viene spinta a forza verso la spiritualità. Al contrario, la fede di Suzanne è un punto fermo della sua esistenza: un lento e continuo dialogo con Dio che permette alla fanciulla di riconoscere come vano il suo ordinamento. Proprio perché conosce la religione verso cui i suoi l’hanno costretta, Suzanne capisce di vivere in un mondo che, seppure in qualche modo riesce a capire, non le appartiene.


La religiosa è la lotta esasperata di un’anima ingenua e appena nata che ha voglia e desiderio – nel senso più alto del termine – di autodefinirsi come individuo, che ha bisogno del soffio della libertà per dare consistenza e senso ad ogni singolo giorno dell'esistenza. Pauline Etienne commuove nel ruolo di questa giovane eroina che guarda al di là delle grate del convento e che per lei, presumibilmente, rappresentano un punto di cesura tra l’infanzia (in cui è costretta a sottostare agli ordini di un padre padrone e di una madre debole e crudele) e l’età adulta, in cui può scegliere da sola da che parte stare e cosa fare della propria vita. In questo mondo patriarcale, la femminilità di Suzanne, usata come causa di colpe e peccati da espiare, è solo un ulteriore artificio che il regista utilizza in una messa in scena sempre attenta e puntuale, forte di una scenografia priva di effetti speciali, ma tutta votata alla restituzione di un senso di claustrofobica realtà.


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