Stanca di guadagnarsi da vivere con lo striptease, Beth (Rebecca Hall) decide di lasciare la provincia per tentare la fortuna a Las Vegas. Decisa a trovare un lavoro come cameriera, arriva invece a lavorare per Dink (Bruce Willis), tenutario di un imponente giro di scommesse sportive. La gelosia della moglie di Dink, Tulip (Catherine Zeta-Jones), porta però Beth a doversi allontanare dall’uomo e a conoscere il losco ambiente dell’azzardo gestito da Rosie (Vince Vaughn). Tra lecito e illegale, Beth dovrà scegliere da che parte stare e da quale delle tante anime di Las Vegas farsi conquistare. Da un talento della commedia di qualità come Stephen Frears, un film come Una ragazza a Las Vegas (titolo italiano ancora peggiore dell’originale Lay the Favorite) è un’opera quasi inverosimile. Il regista di Eroe per caso, Alta fedeltà e The Queen dirige infatti una pellicola tanto irrilevante quanto totalmente sbagliata. Liberamente tratto dall’autobiografia di Beth Raymer, da cameriera di provincia ad allibratrice tra New York e Las Vegas, il film di Frears è un’opera per la cui riuscita anche il cast di star può poco o nulla. Se da un lato ci sono i giovani, impacciati (ex) teen idol Rebecca Hall e Joshua Jackson, dall’altra le marmoree icone Bruce Willis e Catherine Zeta-Jones risultano ugualmente fuori parte. Quasi nessuno dei personaggi può dirsi del tutto riuscito individualmente (particolarmente deludente Jackson, che si era invece mostrato brillante in più di una pellicola passata), mentre si salvano solo alcuni duetti fra la Hall e Willis, non indimenticabili ma almeno gradevoli. È senz’altro la giovane protagonista però la più grande incertezza del film, poco credibile sia come figura sensuale che come interprete sentimentale. Allo stesso modo, tanto le componenti ironiche quanto quelle romantiche risultano assemblate malamente in una sceneggiatura inconsistente costruita attorno ad una storia di poco interesse. Rispetto alle opere precedenti di Frears, Una ragazza a Las Vegas – pur mantenendo il consueto garbo - perde molto in ritmo e originalità , oltre che in umorismo e disimpegno. Soprattutto però, ciò che manca quasi del tutto nella pellicola è l’intelligente sottotesto sociale e l’acuto sguardo sull’umanità più varia, di solito immancabile nelle commedie più efficaci del regista inglese. Lay the favorite rinuncia fin dalle intenzioni ad andare oltre la girl story, limitandosi ad incarnare una vicenda impalpabile di buoni sentimenti, bisticci fra donne, amori, gelosie ed equivoci. Il racconto di una vita presuntamente avventurosa che si augura l’immedesimazione soprattutto del pubblico femminile.