Kato, il braccio destro del presidente a guida del Sanno-kai, avverte Ikemoto, uno dei capi dell'organizzazione, che il boss non vede di buon occhio i suoi contatti con una famiglia rivale. Ikemoto, per cercare di risolvere nel migliore dei modi e il prima possibile la situazione, affida il pericoloso incarico ad Otomo, uno dei suoi migliori uomini, abituato a missioni pericolose. Takeshi Kitano è stanco, privo di idee, confuso. Da molti anni, buona parte della critica ha ingiustamente guardato con sospetto le nuove opere del maestro nipponico, agganciandosi per aver gioco facile anche ad una stessa dichiarazione del cineasta che sostiene egli stesso di essere a corto di idee. Eppure Outrage, nonostante feroci stroncature e pur essendo lontano dalla bellezza di capolavori passati, dimostra ancora una volta la voglia e il mestiere di un autore geniale che, in attesa di un nuovo flusso creativo, è tornato al filone che in passato gli ha regalato grandi soddisfazioni, quello degli yakuza-movie. Volutamente freddo e anti-empatico (caratteristica in parte leggermente smussata nel sequel), il film si trascina soprattutto sulle spalle del suo regista/protagonista, sempre in grado di bucare lo schermo sia con che senza la pistola in mano. Privo di guizzi autoriali che hanno contraddistinto la vena poetica di titoli fondamentali del suo cinema, il racconto procede grezzo e ferale, impressione accentuata anche da un apparato tecnico di assoluto livello ma tendente ad uno spersonalizzazione del protagonista e della vicenda. Con uno stile più dilatato del solito, senza fronzoli di sorta, Beat Takeshi ci conduce in una storia di violenza e onore, in un gioco di intrighi ai piani alti della yakuza che non hanno scrupoli nell'utilizzare i loro uomini come carne da macello. C'è chi potrebbe definirlo un puro compito portato a termine, ma Outrage dietro la facciata nasconde comunque ancora l'istinto e la sana rabbia di Kitano, regalando almeno un paio di sequenze di grande impatto tra cui la tesa sparatoria finale.