La Corea del Sud ha dato alla luce un altro talentuoso cineasta: Jeong-beom Lee, consacrato nel 2010 in seguito al successo in patria di The Man from Nowhere, secondo lungometraggio dopo Cruel Winter Blues in cui dava sfogo al concetto di gangster movie in salsa coreana. Due film in quattro anni, entrambi presentati al Far East Festival a Udine con un buon riscontro di pubblico e critica. A dispetto dell'esordio cinematografico, comunque lodevole, The Man from Nowhere mostra spina dorsale e carattere, abbastanza da differenziarlo da qualsiasi vengeance movie proveniente dall'altra parte del mondo – le convergenze con Man of Fire di Tony Scott e Léon di Luc Besson sono molteplici. Cha Tae-sik (Bin Won) gestisce un modesto banco dei pegni in uno piccolo condominio di Seul. Gira voce sia un tipo cattivo sebbene non sia chiara la provenienza della fonte. Il suo unico contatto con degli esseri umani dopo il lavoro avviene con la piccola Jeong So-mi (una straordinaria Sae-ron Kim), vicina di casa con la quale è nata una simpatia reciproca. Quando degli uomini la rapiscono insieme alla madre, colpevole quest'ultima di aver rubato una partita di droga al boss della malavita locale, Cha Tae-sik si metterà sulle loro tracce. Qual è la ragione che spinge un perfetto sconosciuto a salvare la vita di due persone? Nessuno può immaginare che dietro quell'atteggiamento riservato si nasconde un'autentica macchina da guerra addestrata dai servizi segreti. Regia e montaggio mantengono alto il ritmo e riescono a trasferire allo spettatore tutta la tensione e la collera vissuta dall'antieroe, con l'uso impeccabile di contrasti cromatici che ne evidenziano i risvolti introspettivi. Il coinvolgimento emotivo sopraggiunge in funzione della convincente prova attoriale dell'intero cast, in particolare dei due personaggi sui quali ruota la prima parte del film. Quando la centralità del loro rapporto cede il passo a subplots più impegnativi, tale passaggio giustifica – ai fini cinematografici – la carneficina compiuta da Cha Tae-sik nella resa dei conti finale: un tornado di violenza destabilizzante e proporzionata alla disumana efferatezza dei villain. Ogni sequenza viene dipinta con il sangue, deliberatamente coreografica e spettacolare, senza che questa scelta comprometta la psicologia dei personaggi o snaturi il senso delle loro azioni, tanto da rendere The Man from Nowhere un felice mix di thriller e noir che prende molto sul serio i temi snocciolati dalla sceneggiatura. Purtroppo le visibili competenze teniche vengono svalutate in fase di script (sempre a opera di Jeong-beom Lee), caratterizzato da discutibili frasi ad effetto nelle scene action e dialoghi stiracchiati che si sforzano, in contesti più intimi, di sconfinare nel melodramma. Disappunti innegabili ma non determinanti, poiché il film segue un'escalation tesa e avvincente, capace di scuotere anche gli animi più freddi attraverso l'ineguagliabile sensibilità orientale.