Lisa (Claudia Gerini) è una facoltosa manager che di notte frequenta club per scambisti nella periferia di Roma. La doppia vita di Lisa sarà sconvolta quando una serie di omicidi colpiscono proprio alcuni dei clienti di uno dei locali a luci rosse che la donna frequenta, il Tulpa. Non potendo rivolgersi alla polizia, temendo uno scandalo e dunque conseguenze per la propria carriera lavorativa, Lisa dovrà affrontare da sola il terrore. All’origine di Tulpa, nelle intenzioni di Federico Zampaglione – dopo l’originale esordio di Nero Bifamiliare e la sorpresa di Shadows, horror non originale ma degno del cinema internazionale – c’era un thriller che riportasse in auge la tradizione anni ’70 di Mario Bava e Dario Argento: una pellicola da brivido, che sfiorasse il torbido e mantenesse come traccia una sceneggiatura-indagine di taglio classico, con assassino imprevedibile e colpo di scena finale. Tuttavia, benché il riferimento alla tradizione dell’horror all’italiana sia più che evidente – e a tratti sfiori addirittura un’adorante emulazione - Tulpa è un film dai molti difetti, tra cui i più evidenti riconducibili a diverse ingenuità e inverosimiglianze, oltre che da un diffuso gusto per il kitch e per inquadrature ostinatamente antiestetiche. Si va dal turpe assassino di nero vestito ad omicidi ben girati, coperti di pulp ma svuotati di tremore, sino alle sopravvalutate sequenze erotiche e a personaggi superflui e involontariamente ridicoli, come il santone o il transessuale. Le discusse scene di sesso - più o meno – esplicito, in teoria finalizzate ad offrire al film l’atmosfera morbosa in cui avrebbe dovuto ambientarsi una vicenda di (dis)umana perdizione, si rivelano ben presto ripetitive e, senza supporto alcuno da parte di una scrittura chiara, esperimenti estetici di dubbio gusto. Come se non bastasse, il pessimo doppiaggio italiano in post produzione (il film è originariamente recitato in inglese) peggiora di molto la fruizione di interpretazioni fra le peggiori del cinema italiano, anche da parte di alcuni suoi degni esponenti come Michele Placido o Claudia Gerini. Ormai al terzo film da regista, Zampaglione conferma una longeva e coltivata passione vintage per l’Italian thrilling. Peccato però che ad un discreto talento per la creazione della suspense e delle situazioni di tensione non corrisponda altrettanta linearità di svolgimento e fiuto per la degna conclusione, sebbene Tulpa recuperi solo sul finale molte delle sue incongruenze. Nonostante il regista e musicista romano mostri ancora una volta di possedere gli strumenti e le possibilità per un’ambiziosa operazione di revival di un genere che nel cinema italiano è passato in breve tempo da glorioso a marginale, di contro ad una tecnica buona - coerente con gli intenti citazionistici la perenne luce rossastra della pellicola e dedicato agli appassionati del genere horror il gusto per il dettaglio trucido – Zampaglione si concede di perdere di vista ancora troppo spesso il senso della realtà e del buon gusto.