Steven Knight - scrittore tra l’altro di Promessa dell'assassino di Cronenberg - nella sezione fuori concorso del settantesimo Festival di Venezia presenta il suo ultimo lavoro, Locke. La riuscita del film è tutta affidata alla forza espressiva del protagonista, che chiuso nell’abitacolo della sua automobile, regge da solo il peso di un film girato in presa diretta in un'unica location. Ivan Locke ama il suo lavoro, la sua famiglia e conduce una vita soddisfacente. Fino alla notte in cui tutto ciò che lo ha reso felice inizia a vacillare sotto il peso di una catena di eventi. Proprio a un passo importante per la sua carriera, Ivan deve mollare tutto e intraprendere un lungo viaggio in macchina per tentare di mettere a posto l’unica ‘sbavatura’ nella sua vita perfetta. Il percorso si trasforma in un disperato tentativo di tenere in piedi la sua vita passata mentre al volante guida nella direzione opposta, per assumersi le proprie responsabilità verso quella futura. Locke è un film che mostra la grande prova registica di Knight e l’azzeccatissima scelta di Hardy come protagonista, capace brillantemente di ricostruire attraverso i soli dialoghi e la propria forza scenica una storia complessa. Quella di un capo di cantieri edili, di un uomo che costruisce solidi palazzi partendo dalle fondamenta, di un uomo cresciuto senza un padre, che cerca di edificare così come fa con le proprie costruzioni una vita resistente e perfetta, a prova di eventi dannosi. L’impresa è tutt’altro che semplice: raccontarsi in un viaggio notturno fino al termine della notte riuscendo a farsi continuamente seguire dallo spettatore non è davvero da tutti. D’aiuto sicuramente una stupenda fotografia con mutazioni cromatiche, dissolvenze, simmetrie e sfumature: onde di luce e punti di nero senza sosta, in costante movimento accompagnano il flusso di telefonate del protagonista, vero ritmo del film. Locke guida, ha fretta, deve risolvere il più presto possibile una situazione delicata. Deve mettere a posto un asse sconnesso. Per farlo però deve mantenere sotto controllo tutto ciò a cui ha consacrato la propria esistenza: lavoro e famiglia. Non ha nulla, ha solo un cellulare. Il viaggio in questo caso - ed è qui la vera forza del film - non è principalmente metafora di cambiamento interiore. C’è poco da cambiare. Il protagonista vive di geometrie, di misure, di standard perfetti; non rischia, è un uomo tutto d’un pezzo, quelli come lui sono duri al cambiamento. Eppure anche a quelli come lui può capitare una svista, un colpo di sonno, un unico momento irripetibile di distrazione. Ma tra mai e una volta sola, c’è la stessa differenza che c'è tra bene e male. Parlando al telefono, allo specchietto retrovisore, a se stesso, da padre a figlio, da uomo a uomo, Locke sa che deve andare, sa che deve tornare. Sa anche che in tutto ciò rischia di perdere in ogni caso. Ma anche che a volte serve perdere per potersi sentire al proprio posto, quello giusto. In pace con la coscienza.