David (Jason Sudeikis) si guadagna da vivere spacciando marijuana fino al giorno in cui, per aiutare Kenny (Will Poulter) e Casey (Emma Roberts), giovani e sbandati, viene derubato e attira su di sé le ire di Brad (Ed Helms), suo fornitore e sfruttatore. Costretto, per salvarsi la vita, a fare da corriere per un carico di droga pesante proveniente dal Messico, David ha un’idea per passare inosservato: fingere, insieme ai due ragazzi che ha salvato e alla vicina di casa Rose (Jennifer Aniston), spogliarellista in bolletta, un viaggio in roulotte da perfetta famiglia americana in occasione dei festeggiamenti per il 4 luglio. Ci sono parodie che solo una certa tradizione cinematografica è in grado di operare su se stessa. È il caso di We're the Millers (trascurabile il titolo italiano), ultima pellicola di Rawson Marshall Thurber - già regista del cult Palle al balzo - sotto le cui pieghe esilaranti si legge una critica ruggente del cinema statunitense borghese e perbenista, quello che racconta la famiglia americana del nucleo perfetto, che celebra il 4 luglio e si bea nel patriottismo dilagante. Nel mirino comico della messa in scena di cui Sudeikis e Aniston si fanno protagonisti, c’è la classe media americana ma non solo: l’intera pellicola è un bozzetto umoristico dei generi più popolari della commedia made in USA, dal road movie al sentimentale, con una strizzata d’occhio al thiller narcotico. La pellicola di Thurber non è un capolavoro, ma ha ritmo e diverte, complici soprattutto gli attori: dal frizzante “imbranato” Will Poulter al "cattivo" Ed Helms - già star di Una notte da leoni - sino all’interpretazione brillante di Jennifer Aniston che, con spiazzante autoironia, sfoggia, a 44 anni compiuti, un physique du role non indifferente. La sceneggiatura mostra tra le sue righe la complicità di Bob Fisher e Steve Faber, autori di pellicole leggere di successo (Due single a nozze), capaci di dosare tutti gli ingredienti necessari a bilanciare la satira del melenso con la calibrazione del romantico e del cinico ma anche di lasciare spazio alla creatività dei singoli attori, ai quali si devono – tra improvvisazione e inventiva – la maggior parte delle gag riuscite del film. Thurber dal canto suo mostra di conoscere alla perfezione i meccanismi della commedia, riuscendo a colpire Hollywood in uno dei suoi generi più popolari, il family-movie, ma al tempo stesso a dirigerne lui stesso – seppure alleggerito da più di un momento completamente votato al politicamente scorretto - una versione originale e ben riuscita, la cui morale è comunque quella buonista e caramellata dell’unione che fa la forza. Del resto, memore del successo passato e conscio del proprio pubblico, il regista di Dodgeball sa che cedendo in parte al demenziale e all’eccesso (anche linguistico) si accontenta la fetta più vasta, quella stanca dei drammi, e al contempo si riesce a far ridere con pochi, ma intelligenti, elementi.