Isabelle (Diane Krueger) è innamorata di Pierre (Robert Pagnol). I due sono una coppia perfettamente in simbiosi che progetta il matrimonio. La famiglia di Isabelle, tuttavia, da anni pare perseguitata da una maledizione che porta al fallimento tutti i primi matrimoni: per non perdere il suo grande amore, Isabelle decide di sedurre uno sconosciuto per poi divorziare subito dopo, rendendo quindi la sua unione con Pierre il secondo matrimonio. Incontrerà Jean-Yves (Danny Boom), una guida turistica sopra le righe, che sarà costretta a seguire dall’Africa alla Russia. La commedia romantica ha una struttura dalle maglie strette: repulsione, innamoramento, quel non detto che viene fuori e crea l’intoppo, scena dell’aeroporto con bacione schioccante e finalino che strappa un ultimo sorriso: un unica formula spesso ugale a se stessa, ripetitiva e codificata. Realizzare una buona commedia romantica significa quindi essere in grado di eludere le regole, riuscire a trovare il proprio spazio di originalità e mantenere un ritmo veloce, travolgente magari, divertendo ed intrattenendo lo spettatore. Certo il fantasma dello scimmiottamento e sempre in agguato e Pascal Chamueil pare non emergere. La sua seconda prova da regista manca completamente di scatti creativi – i binari del plot sono infatti chiarissimi dopo un quarto d’ora di visione – e non risulta scorrevole, imbrigliata com’è all’interno di una cornice che frammenta eccessivamente la vicenda - l’intera storia è raccontata dalla sorella di Isabelle durante una cena di Natale. Diane Kruger e Danny Boom tentano la carta della recitazione briosa ed ammiccante, ma le loro performance frizzantine non sono esaltate da gag memorabili e i loro personaggi appaiono il più delle volte come macchiette di cui si perdono le coordinate motivazionali. C’è una tendenza esotica che va certamente menzionata, questo gusto per le storie itineranti che porta i protagonisti di Un Piano Perfetto a vivere le proprie avventure sugli sfondi del Madagascar e di Mosca, incarnando tutti i cliché del caso e condendoli con una discreta dose di etnocentrismo. Avesse avuto la carta copiativa, Pascal Chaumeil sarebbe perlomeno riuscito a bissare il successo del suo Il Truffacuori, meritandosi nulla più che un già visto. Invece riesce a piazzarsi addirittura al di sotto di quella soglia, regalando allo spettatore qualche risolino sparuto nella nebbia dell’apatia.