Senza alcun dubbio Luc Besson è stato uno dei registi più in voga dalla seconda metà degli anni '80 fino a tutti gli anni '90, sfornando pellicole importanti come Subway, Nikita, Leon e Il Quinto Elemento. Dopo quest'ultimo successo però il regista francese non è più riuscito a ripetersi a buoni livelli, con l'eccezione, forse, di Adele e l'Enigma del Faraone. Cose Nostre – Malavita, di cui Besson è anche co-sceneggiatore e co-produttore, si basa sul romanzo Malavita dello scrittore francese, ma di lampanti origini italiane, Tonino Benacquista ed è una classica black comedy che punta molto forte sulla presenza di un cast stellare. I Manzoni sono una famiglia di mafiosi italo-americani: il padre Giovanni (Robert De Niro) è diventato un pentito e con la sua testimonianza ha mandato in galera il boss, Don Luchese. Per la salvezza sua e dei suoi cari ha aderito al Programma Protezione Testimoni dell'FBI sotto la supervisione dell'Agente Stansfield (Tommy Lee Jones) trascinando nei suoi spostamenti l'intera famiglia: la moglie Maggie (Michelle Pfeiffer) e i figli Belle (Dianna Agron) e Warren (John D'Leo). Con il cognome fittizio Blake si trasferiscono in uno sperduto paesino di campagna in Normandia creando immediatamente scompiglio con i loro modi di fare aggressivi e perennemente sopra le righe. L'umorismo nasce dai contrasti: tra gli abitanti del paesino, la cui vita scorre lentissima e pacifica, e i metodi sbrigativi dei Blake con Giovanni che alla fine dei conti sembra essere il più riflessivo del gruppo - tra le manie incendiare della moglie, il genio criminale del figlio che vuole al più presto eguagliare cotanto padre e la brutale femminilità della figlia. Ma anche tra Giovanni e l'Agente Stansfield il cui rapporto di amore-odio anima la vita di entrambi fino a portarli ad andare insieme a un cineforum locale a vedere Quei Bravi Ragazzi, un omaggio che Besson fa allo stesso De Niro, protagonista di quel film, e a Martin Scorsese che ne fu il regista e che di Cose Nostre – Malavita è il produttore esecutivo. Nella seconda parte il film abbandona i toni da commedia e sposa quelli più consoni a un gangster movie per il confronto finale con la mafia. Al di là di un cast che si commenta da solo, la pellicola funziona a singhiozzo: l'umorismo risulta spesso scontato e macchinoso, le autocitazioni e le autocelebrazioni si sprecano rischiando troppo spesso di trasformare i personaggi in pure e semplici macchiette dai movimenti e dalle battute ampiamente prevedibili. I momenti divertenti non mancano (il cineforum, il barbecue in giardino) ma gran parte del film paga pegno a quest'atmosfera farsesca. La sensazione è quella di un'occasione sprecata da Besson, soprattutto in considerazione del materiale umano a disposizione.