Luciano Capponi, regista e autore cinematografico, teatrale e televisivo, oltre che musicista e compositore, tre anni dopo Butterfly Zone, vincitore al Fantafestival di Roma del primo premio Melies d’Argent, torna con la pellicola indipendente Il Flauto, secondo capitolo della trilogia dedicata all’“aldilà” inaugurata proprio con Butterfly Zone. Protagonista della vicenda l’ex pugile, medaglia d’oro alle olimpiadi di Mosca del 1980, Patrizio Oliva, che aveva esordito sul grande schermo tre anni fa proprio col film di Capponi. In un luogo imprecisato, alcune anime immemori attendono di nascere. A decidere quale anima debba venire alla vita è una multinazionale con a capo alieni senza scrupoli decisi a sfruttare, controllare e globalizzare, il pianeta Terra. Tutto procede secondo i piani fino a quando giunge dal mare, traghettato da un essere dal volto bendato, un personaggio apparentemente insignificante: un netturbino napoletano morto di fame, Gennaro Esposito (Patrizio Oliva). L’uomo, un concentrato di semplicità ed innocenza, verrà aiutato dall’alieno che lo ha portato in quel posto misterioso, e che simpatizza per la razza umana, a sovvertire il meccanismo a cui le anime sono sottomesse. Gennaro le aiuterà, e le contagerà come un virus facendo nascere in tutte loro una voglia sfrenata di essere libere. Favola moderna fuori da ogni regola di mercato, produzione indipendente dal nutrito cast, Il Flauto è un film che mira direttamente al cuore dello spettatore attraverso una parata di personaggi positivi, primo tra tutti il Gennaro Esposito incarnato splendidamente da Oliva. In ciascuno di essi è racchiuso un piccolo universo magico accessibile con lo sguardo innocente di un bambino, una dimensione parallela descritta dal regista con rara delicatezza. Nonostante, però, lo sforzo creativo di Capponi, e la recitazione genuina degli interpreti, sin dai primi minuti si assiste faticosamente ad una vicenda dai risvolti poco chiari che perde ben presto di mordente, risultando, fatte poche eccezioni, terribilmente noiosa. Prediligendo un ritmo lento e riflessivo, quasi a volersi distinguere dai prodotti commerciali frenetici e nevrotici tanto in voga oggi, il regista crea un’atmosfera fantasy dalle tonalità inquietanti, riflesso della società contemporanea fredda e cinica, senza però dare molta importanza ad una continuità narrativa oltremodo frammentata. Unica vera sorpresa sembra essere proprio la recitazione del protagonista, cosi piacevolmente vicina a quella di Troisi da strappare più di un sorriso melanconico al pubblico. Il resto sono visioni disordinate in bilico tra il filosofico ed il religioso, apparentemente comprensibili solo agli occhi del regista.