Antonio Catania è l’ambiguo protagonista di questo noir all’italiana diretto da Luigi Sardiello e prodotto da Alessandro Contessa. Una pellicola dalle tinte fosche che, nonostante le buone intenzioni, purtroppo risente di una sceneggiatura inverosimile e di una stanchezza registica che non fa mai decollare l’interesse del pubblico per le vicende narrate. Achille (Antonio Catania) di professione fa il pasticciere. Lo fa da quando, a 12 anni, aiutava il padre a preparare squisite prelibatezze nel suo laboratorio. La sua vita da allora è scandita dalle ordinazioni dei clienti, unico suo contatto col mondo esterno, e dai tempi di cottura dei dolci. Un giorno come tanti Achille è testimone di un delitto all’interno di una villa, e la sua vita cambia radicalmente. Costretto a fuggire, l’uomo percorre una strada senza uscita che lo porta a fare i conti con un passato dimenticato e fatto di orrori indicibili. Accerchiato da una donna sensuale e ambigua (Rosaria Russo), un avvocato arrogante e pericoloso (Ennio Fantastichini) e una poliziotta scrupolosa (Sara D’amario), il pasticciere si trasformerà da uomo sensibile e raffinato a fuggitivo disperato, disposto a tutto pur di ritrovare quella pace che gli è stata negata. Pervaso da un’atmosfera tipicamente noir, Il pasticciere ripercorre tutti i topoi del genere con scrupolosità , mettendo in scena una serie di personaggi e situazioni tipicamente hitchcockiane che bene si sposano con i toni cupi e macabri del film. Sfortunatamente la storia scivola immediatamente in situazioni al limite dell’assurdo, da fiction televisiva, che fanno cadere tutte le buone premesse iniziali. Catania appare spaesato e svogliato: il modo in cui si infila in circostanze paradossali è cosi incredibile che si perde presto interesse per qualunque siano le conseguenze del suo agire. I personaggi di contorno, escluso Fantastichini nei panni del solito, cinico personaggio che più gli si confà , sono scialbe pedine di un disegno registico confuso che riserva loro pochi momenti degni di nota. A farla da padrona è la totale mancanza di ritmo che uccide la narrazione, già soffocata irrimediabilmente da continui flashback che rimandano all’ovattata infanzia di Achille con un invisibile Emilio Solfrizzi, nei panni del padre, il cui volto, inspiegabilmente, non viene mai mostrato. In conclusione, la pellicola di Sardiello può essere collocata tra le tante, grandi occasioni sprecate dal nostro cinema contemporaneo.