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Mr. America

13/11/2013 11:00

Gabriele di Grazia

Recensione Film,

Mr. America

Mr...

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Mr. America è il titolo dell’opera prima del regista Leonardo Ferrari Carissimi, autore formatosi nell’ambiente della sperimentazione teatrale romana agli inizi del 2000, con una grande esperienza come aiuto regista per alcuni allestimenti di opere liriche alle spalle. Il suo film è un thriller ambientato nello spietato mondo dell’arte, dove il rancore per il successo mancato può maturare in violenza, e dove il passato di ciascuno può tornare per tramutarsi in autentico incubo. Sullo sfondo l’influenza palpabile di Andy Warhol, figura predominante della Pop Art.


L’opera di Ferrari Carissimi si dipana su tre diversi piani temporali, intrecciati tra loro in modo vorticoso fino a dar vita ad una tela di passato, presente e futuro in cui, grazie ai dettagli della psicologia dei personaggi, viene portato alla luce ogni significato più torbido e nascosto. La protagonista Penny (Anna Favella), testimone di atti brutali ed ossessivi durante la propria infanzia, andrà incontro ad un destino tragico trascinando con sé tutti gli altri personaggi della storia, tra cui Roy (Michael Schermi), giovane artista in cerca di successo, ed il rancoroso Adrian (Marco Cocci).


Ispirato alla storia di David Solanas, un artista realmente esistito che finì per autodistruggersi, abbagliato dalla temporanea celebrità promessa da Warhol ed ossessionato dalla ricerca del suo consenso, Mr. America nasce dall’esigenza del regista di comprendere l’urgenza espressiva warholiana della svalutazione dell’unicum a favore della riproduzione. L’idea del thriller si è sviluppata partendo dalla serigrafia Elettric Chairs, una serie di stampe caratterizzata da colori acidi che vede la morte scendere a patti con l’uomo. Secondo Ferrari Carissimi, il genio della Pop Art era un vero e proprio serial killer, capace di rubare l’anima delle persone per ridurla ad un oggetto vendibile e di consumo. È proprio questa esilità dell’essere che pervade il film, in cui tutto è in continuo cambiamento, in bilico tra luce e ombra, e dove i personaggi celano la propria identità dietro silenzi che urlano rabbia. Il ritmo lento permette all’occhio di soffermarsi sui particolari delle singole inquadrature cogliendone il fascino e la ricercatezza. Ad arricchire la scenografia le opere spigolose di Marco Tamburro, a metà tra Futurismo e arte Pop, che riassumono con violenza espressiva il caos ed il dinamismo della società contemporanea, tra distorsioni prospettiche e verticalità esasperate. Buona la recitazione degli interpreti, uno su tutti, Michael Schermi nei panni dell’artista soggiogato dalla bellezza della giovane Penny cui presta il volto un’ambigua Anna Favella, qui alla sua prima prova cinematografica. Un finale macchinoso e la scelta poco felice di far recitare il cast in inglese per poi ricorrere al doppiaggio non danneggiano una pellicola che, in modo straordinario, richiama le atmosfere soffocanti del miglior Dario Argento.


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