Dopo il tanto criticato Manuale d’amore 3, Giovanni Veronesi torna al cinema con un'opera che, nelle intenzioni, mira a recuperare le atmosfere e i toni della commedia all’italiana, quella che ha reso grandi Monicelli o Dino Risi. Perché Veronesi racconta la storia di un signor nessuno, un italiano medio la cui vita sembrerebbe a prima vista priva di qualsiasi elemento degno di interesse, utilizzando toni stralunati. L’ultima ruota del carro, è la storia di un individuo che non si distingue dalla massa per nessuna dote particolare, che viene toccato solo di striscio dai grandi eventi storici che hanno caratterizzato il nostro paese nell’ultimo mezzo secolo e che passa gran parte della sua vita a collezionare piccoli momenti indimenticabili. L'ingenuo Ernesto (Elio Germano) ha passato l’infanzia nell’ombra di un padre fin troppo esigente, che gli ha trasmesso il mestiere di tappezzerie. Nello svolgimento di questa attività professionale, mentre lavora su commissione, Ernesto incontra Angela (Alessandra Mastronardi), per la quale perde immediatamente la testa e che, dopo un corteggiamento goffo e disperato, accetta di sposarlo. Lasciato il mestiere di tappezzerie e abbandonato anche il posto di lavoro come cuoco in un asilo, Ernesto decide di mettersi in società con l’amico Giacinto (Ricky Memphis), aprendo un’attività tutta loro. L’ultima ruota del carro è un film sincero e onesto che, pur ostentando un buonismo di fondo a tratti eccessivo, non mira mai a raggiungere obiettivi che travalicano le possibilità effettive della pellicola. Film senza troppe pretese e senza esagerate velleità artistiche, L’ultima ruota del carro lascia allo spettatore la possibilità di godersi uno spettacolo che fa della normalità il proprio nucleo narrativo privilegiato. Veronesi concentra tutta la sua verve creativa nel tratteggiare un personaggio comune, quasi insipido, per il suo trascinarsi lento e inesorabile verso un’esistenza priva di qualsiasi guizzo fuori dall’ordinario, nel quale tutti possono rispecchiarsi senza che sia richiesto un grande sforzo immaginativo. In questa costruzione il regista è senz’altro aiutato da Germano, che conferma – qualora ce ne fosse ancora bisogno – il suo immenso talento, regalando al grande pubblico l’ennesima prova istrionica calibrata al millimetro. Il protagonista viene tratteggiato con estrema precisione: un uomo che, per tutta la vita, si è sentito definire dal padre “l’ultima ruota del carro”, appesantito da una consapevolezza sotterranea di inutilità, contrastata rimanendo ancorato ad una forma di ingenuità infantile, che lo rende buono, gentile e integro. E Germano riesce a rimandare questa immagine vintage e naif, senza mai cadere nel pietismo o nell'esibizionismo sopra le righe. Circondato da personaggi tutt’altro che simpatici, l’Ernesto di Germano emerge come una gemma preziosa, catturando su di sé tutta l’attenzione del pubblico, incaricandosi quasi individualmente della buona riuscita della pellicola.