1977.Wladziu Valentino Liberace (Michael Douglas), showman e pianista di fama internazionale, conosce il giovane veterinario Scott Thorson (Matt Damon), di cui si innamora intraprendendo una relazione burrascosa che durerà quasi cinque anni tra ambiguità, sofferenze e rimpianti. Il vociare intorno al presunto abbandono di Steven Soderbergh è un motivo che somiglia ormai sempre più ad un ritornello pubblicitario che accompagna quasi tutti i film del regista di Atlanta. Ciò che invece pare essere certo è che il bizzarro Behind the Candelabra era un film che non doveva farsi: prima i guai di salute di Michael Douglas, poi il rifiuto degli studios, infine le polemiche intorno ad una pellicola giudicata “troppo gay”. Ma come la sua Erin Brockovich Premio Oscar e i suoi Ocean’s campioni di incasso, Soderbergh è un regista da imprese impossibili: infine, con una produzione televisiva capofila del biopic, il film non solo è stato presentato all’ultimo Festival di Cannes, ma è passato in televisione con un discreto successo di pubblico e di critica. Non si può affermare che Soderbergh non sia un eclettico del cinema: biografia, caper movie, azione, thriller, dal blockbuster al comico, dal sociale al sentimentale, i tanti generi sperimentati hanno concesso al regista di apprendere uno sguardo multiforme in grado di trattare con originalità anche un personaggio discusso e caleidoscopico come Wladziu Valentino Liberace, icona kitch degli anni Settanta. Dietro ai vistosi panni di eccentricità di cui lo showman si copriva, si celava in realtà un’esistenza di tormento e una storia d’amore eccezionale, il cui racconto è tratto dall’omonimo romanzo dello stesso Scott Thorson di cui Liberace fu compagno, amante e pigmalione. Behind the Candelabra non vuole essere un film biografico quanto piuttosto un omaggio ad un artista dall’aspetto variopinto e dall’anima cupa. Ciò che il titolo del film invita a fare è esattamente guardare dietro i candelabri, dietro il lusso della vita divistica di Liberace, che nasconde un’identità incerta e un amore impossibile da fermare. Sforzando sino ad un risultato eccezionale il proprio talento per la scenografia e i costumi - la differenza di età con il giovane Thorson è ricostruita con esattezza nel make up dei due (ex) sex symbol Michael Douglas e Matt Damon - Steven Soderbergh racconta di Liberace tanto il lato luminoso quanto quello torvo. L’opportunità offerta dal romanzo di Thorson, riadattato per lo schermo da uno sceneggiatore esperto di drama come Richard LaGravenese, concede al regista materiale per un biopic sui generis che racconta una storia scandalosa oggi quasi quanto negli anni Settanta. Dietro ai lussuosi arredi, agli abiti eccentrici, all’aspetto sempiterno di Liberace (per il quale il musicista si sottoponeva a lunghe operazioni di chirurgia plastica) – che Soderbergh ricostruisce con una perizia del kitch unica per sforzo profuso – il film racconta una passione proibita e una storia d’amore toccante, che soprattutto sul finale si tinge fin troppo di rosa e spegne nel melodramma ogni riuscito spunto comico disseminato lungo la pellicola. Sebbene sia da lodare un ritorno del regista statunitense ad un cinema più personale e curato, appare evidente come l’impronta televisiva della produzione abbia lasciato il segno sul risultato finale della pellicola, che poteva calcare meglio la strada dell’autoironia sacrificando soprattutto l’evitabile epilogo in stile Love Story.