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Fuga di cervelli

21/11/2013 12:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Fuga di cervelli

Il timido Emilio (Luca Peracino) è innamorato sin dall’infanzia della bellissima Nadia (Olga Kent)...

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Il timido Emilio (Luca Peracino) è innamorato sin dall’infanzia della bellissima Nadia (Olga Kent). Quando finalmente prende il coraggio di dichiararle il suo amore, la ragazza gli confida che sta per trasferirsi ad Oxford, dove frequenterà la facoltà di Medicina. Così Emilio viene convinto dal gruppo di amici di sempre – una originale combriccola di scapestrati – a falsificare documenti e diplomi scolastici e partire per l’Inghilterra dove tutti insieme lo aiuteranno a conquistare la ragazza.


Opera prima del mattatore di Colorado Cafè Paolo Ruffini, volto noto della commedia e della televisione italiana, Fuga di cervelli riunisce fra i protagonisti il meglio (o il peggio, a seconda dei punti di vista) del cabaret televisivo commerciale. Da Colorado arrivano – insieme alla produzione - Frank Matano, Luca Peracino, Andrea Pisani e anche la modella moldava Olga Kent, mentre proviene dal web il fenomeno virale Guglielmo Willwoosh Scilla, già attore (senza troppo successo) nella pellicola di Cristiano Bortone del 2012, 10 regole per fare innamorare.


Per provare ad elevare il film realizzato, girato a tempo record e con un budget bassissimo (controsenso non proprio tralasciabile in un film con vocazione commerciale) il Ruffini regista ha paragonato le gag della sua pellicola a cult come Animal House o ai più recenti Una notte da leoni, disseminandola di citazioni da leggende come The Big Lebowski dei Cohen, senza tuttavia riuscire a spiegarne realmente l’intento, se non quello meramente economico. Anche volendo salvarne l’idea di sceneggiatura – che è poi l’unica cosa non realizzata da Ruffini, ma un remake dello spagnolo Fuga de cerebros di Fernando Gonzalez Molina, campione d'incassi in patria – l’intero film appare come un evitabile autogol da parte di un gruppo di comici che riscuotono, in tv fra il loro pubblico, un discreto successo. Nei giorni in cui la nuova commedia italiana che viene dal cabaret miete cifre da record al botteghino (il fenomeno Zalone ne è la prova più riuscita), Fuga di cervelli è un film di rara bruttezza, che ricorda non solo i più demenziali episodi di American Pie ma, restando nel deprimente panorama nostrano, anche il cinepanettone più becero. Troppo semplice sarebbe imputare la colpa di questo fallimento all’impronta televisiva del prodotto: la formazione del cast è solo una delle mancanze dell’opera, la cui lacuna più grave è senz’altro strutturale. Quella di Ruffini è di fatto una pellicola inesistente, priva non solo di senso ma anche di qualsiasi caratteristica cinematografica necessaria a definirla come tale. Non solo le ambientazioni, i costumi e le scenografie appaiono visibilmente povere (la produzione non ha neanche fatto lo sforzo di girare in loco un film ambientato ad Oxford preferendo Torino come unico set), ma anche le trovate comiche mancano di continuo il bersaglio con tempi sbagliati e un umorismo inconsistente fondato per lo più sul doppio senso sessuale. Nonostante tutto però la parte peggiore del film non è quella comica – in cui, nonostante la povertà di contenuti, si riconosce un minimo di formazione professionale degli attori - bensì gli inserti sentimentali che sfiorano il tema dell'handicap o celebrano l’amicizia virile e la semplicità d’animo come cura per il mal d’amore. Quando lo spettatore crede infatti di averne avuto abbastanza di trivialità diffuse e non-sense, ecco arrivare invece il colpo di grazia: il finale, quanto di più ingenuo, buonista e banale che una pellicola tanto irrilevante possa proporre.


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