Attore raffinato e versatile, capace di giostrarsi con scioltezza tra il cinema indie e le produzioni hollywoodiane, Joseph Gordon-Levitt si dimostra altrettanto intelligente nel suo debutto alla regia, com'è palese già nei titoli di testa di questo Don Jon: una sequenza di immagini estrapolate da pubblicità, cinema e televisione, montate con quella frenesia che sarà caratteristica peculiare del film, ci sbatte in faccia la reificazione del corpo femminile sui media più disparati, secondo una cultura - limpidamente espressa dalle strategie di marketing - che riduce l'individuo-donna a mero oggetto sessuale. È già tutto qui, prima ancora dell'inizio: i titoli di testa sono un chiaro manifesto d'intenti, sviluppato e risolto dal film in modo alquanto esaustivo. La storia di Jon Martello, grezzo barista del New Jersey che ama sedurre una donna diversa ogni sera, ma ricava maggior piacere dal trastullo onanistico della pornografia, rispecchia una mentalità maschile di stampo basilare, che vive la sessualità in veste puramente egotistica: la pornografia è un giardino delle delizie in cui sfogare i propri desideri carnali, è il luogo di una sessualità unidirezionale, solipsistica, che non obbliga a restituire ciò che si riceve, né tantomeno a intraprendere un seppur minimo processo di conoscenza. Inevitabile, di conseguenza, soffrire lo scarto tra le fantasie offerte dal porno e la realtà dei rapporti sessuali, dove il confronto con una partner vera implica un grado d'impegno, mentale e fisico, ben maggiore. Ed è qui che Joseph Gordon-Levitt si diverte a giocare con le aspettative dei generi: Jon conosce la seducente Barbara, interpretata da una Scarlett Johansson bravissima a riprodurre la mimica e le pose del "ghetto", e per lei decide di abbandonare la poligamia, impegnandosi in una relazione seria che farà la gioia dei suoi genitori, in primis la madre. Peccato però che la stessa Barbara sostenga principi sessisti (fare le pulizie di casa non è virile, non è da uomo), e che il suo immaginario sia stato deviato dall'influenza delle fiabe e delle commedie romantiche, emblema di scarso realismo tanto quanto la pornografia, seppur con sfumature differenti: i loro punti di vista, alimentati da opposte fantasie, non potranno che collidere. Difficile, in tempi recenti, trovare un'altra commedia sentimentale altrettanto schietta e veritiera nel ritrarre il rapporto fra i sessi: Don Jon schematizza il conflitto, riducendo intelligentemente le due parti alla condizione di topoi, utili a rappresentare strategie e abitudini di uomini e donne sui temi dell'amore e del sesso, con particolare riguardo all'egoismo maschile e alle tendenze manipolatorie più prettamente femminili. L'unica soluzione possibile - sintetizzata nel personaggio di Julianne Moore, donna matura e forgiata dal dolore, ma portatrice di una visione ben più realistica dell'amore - risiede nella condivisione dell'esperienza, sia emotiva che sessuale: vivere il rapporto come arricchimento reciproco, nella consapevolezza delle rispettive esigenze. Joseph Gordon-Levitt non si sottrae alla serietà dell'argomento, ma è anche abilissimo a trattarlo con freschezza e ironia, valorizzando le punte satiriche che toccano sia l'immaginario hollywoodiano (il sunto della falsa commedia romantica con il cameo di Channing Tatum) sia le traballanti certezze della Chiesa, perennemente trincerata nei suoi rituali di fede, e incapace di offrire risposte concrete. L'anima caustica del film emerge anche dalle scelte registiche, nel montaggio e nella costruzione delle inquadrature: Joseph Gordon-Levitt adotta un montaggio scalpitante, pop, isolando alcuni elementi visivi e sonori (ad esempio il tipico suono di accensione del portatile) per richiamare nella mente dello spettatore un determinato concetto o tema ricorrente, enfatizzato anche dall'iterazione delle medesime inquadrature lungo tutto il corso del film. Dalla palestra al confessionale, dalla sala da pranzo dei genitori alla postazione del computer, ogni contesto ambientale è descritto da inquadrature precise che si ripetono costantemente, guadagnando tonalità diverse a seconda dello stato psicofisico del protagonista. Utile, in tal senso, anche la caratterizzazione parossistica dei personaggi, che appaiono spesso sopra le righe, anche quando non aprono mai bocca: è il caso della sorellina di Jon, che imprime il proprio sigillo sul film pronunciando un'unica frase, una sola, ma saggia e lapidaria come poche altre. Davvero un buon esordio registico per questo attore dal talento multiforme, qui anche sceneggiatore.