Regista eclettico ed empatico, sin dai suoi lavori sui videoclip, Spike Jonze riesce ancora una volta a raccontare una storia originale attraverso la commistione di splendide scelte stilistiche e dinamiche fantasiose e colorate. Dopo Nel paese delle creature selvagge, il regista conduce lo spettatore in una dimensione permeata dalle meravigliose magie del mondo 2.0, necessarie in una società diventata ormai sempre più individualistica dove co-esistono uomini e donne, soli nella loro quotidianità e dove le relazioni umane sono in via di estinzione. È questa l’ambientazione di Lei, una Los Angeles orfana di rapporti, frutto di un’evoluzione della specie che trasforma gli individui in monadi di Leibniz, chiuse in un microcosmo autosufficiente dove la tecnologia è al servizio della sostenibilità: non serve più nulla, basta un comando vocale e tutto è a disposizione. Il pensiero vola a Kubrick e a tanti altri grandi registi che hanno trattato il tema dell’intelligenza artificiale, delle macchine che prendono il sopravvento sull’uomo. Del virtuale che prova a farsi reale ne è piena la cinematografia. Ma Lei non parla di tecnologia, la usa - proprio come facciamo noi per comunicare nella vita reale - per raccontare una stupenda storia d’amore. Storia che è ancora più sublime perché immateriale, ancora più favolosa perché i protagonisti sembrano non rendersene conto. È come se il regista, famoso per la sua capacità di scandagliare profondamente le bizzarrie della vita umana, abbia deciso di depurare l’amore da ogni elemento corporeo: non c’è carnalità, non c’è sangue. Ogni tentativo di riportarlo al più basso e animalesco impulso rende comico e impossibile il rapporto. Theodore (Joaquin Phoenix) scrive lettere d’amore 2.0 per conto di altre persone. Ed è bravissimo, le sue lettere riescono a toccare le corde dell’anima dei destinatari. Nonostante ciò vive nel triste ricordo della sua precedente relazione, bruscamente interrotta con una separazione. Trova un effetto placebo nell’impiego della tecnologia, che gli allevia il dolore e gli riempie la vita. E quando si imbatte nello OS1, un nuovo sistema operativo iperfunzionale, non riesce più a farne a meno: entrando in contatto con “Samantha”, la voce femminile che è assegnata al sistema, è subito amicizia, complicità, fino al più puro e giocoso amore. Tra grattacieli, grandi spazi, infinite luci e colori, gli uomini dei tempi moderni di Spike Jones sono ‘diversamente ‘soli, niente più. Così, in questo tripudio di velocità dove nessuno ha tempo per sfiorarsi con altri, ognuno ha il proprio antidoto alla solitudine e ai problemi della vita di coppia in un piccolo smartphone, col quale è possibile riempire la propria esistenza. Samantha non è più solo un’assistente elettronica, Lei è il tentativo di riacquistare socialità e sentimenti attraverso la tecnologia. Ma di cosa stiamo parlando, se non di quell’antico bisogno dell’altro come strumento consolatorio alla solitudine umana? Così Spike Jonze compie un capolavoro: racconta come l’evoluzione possa migliorare la vita ma non incidere su alcune verità incontrovertibili, e non c’è sofisticato apparecchio che possa venire in soccorso. La storia d’amore tra Samantha e il suo proprietario si spinge fino all’estremo tentativo: l’innesto di corpo e voce, di intelligenza artificiale e umana non produce un rapporto perfetto. Anche in questo caso i rischi di ogni relazione provocano inevitabilmente gli stessi effetti di una storia ‘tradizionale’, anche in questo caso c’è chi cambia ed evolve prima dell’altro. È questo che il regista mette in scena: un esperimento, l’esigenza di dimostrare che la cultura del touch che tanto ci semplifica la vita fino ad avere rapporti sessuali con sistemi operativi non può nulla contro l’evolversi delle cose. La sublimazione dell’amore voluta dal regista appare racchiusa in una spettacolare scena di nero dove i due protagonisti non si vedono e si sente solo il voice over in sincrono con le parole che si compongono, forti, sullo schermo. Qui risiede il cuore pulsante di questa pellicola: sentimenti nudi e crudi, che raccontano le nostre fragili solitudini. Giusta anche la scelta di riporre sulle spalle di uno strepitoso attore come Joaquin Phoenix il carico emotivo di questo film: un grande professionista nei panni di un piccolo, malinconico uomo alla deriva, con quei pantaloni a vita alta portati rigorosamente senza cintura, ma così attuale e così vero nel raccontare tutta la goffaggine di questo post-moderno solipsismo.