Nella seconda parte di Reaching For The Stars, la formazione della boy-band inglese passa in secondo piano per fare spazio al merchandising, ai tatuaggi, al gossip (relazioni con le star, amori veri e presunti, rivalità con The Wanted) e alle singole personalità dei 1D, con un'attenzione particolare alla prima londinese del docu-film ufficiale This is Us diretto da Morgan Spurlock, scelto per il suo particolare sguardo realista e sperimentale. Giornalisti ed esperti del settore si interrogano sui punti di forza (estetici, musicali, commerciali), sui cambiamenti e sulla voglia del gruppo di crescere professionalmente e vocalmente. Il profilo tracciato è appassionato, coinvolgente, e parte dalla scomposizione del secondo album, Take Me Home, con la sensuale Little Thing che diviene snodo cruciale della loro carriera. Un disco più rocckeggiante e meno ingenuo del precedente, dove si nota un controllo e una partecipazione alla scrittura da parte dei 5 ragazzi, desiderosi di dimostrare agli altri di essere più di un gruppo pop. Ma l'interesse per le canzoni finisce qui: le relazioni amorose con donne più grandi, il sesso, il controllo che esercita il manager Simon Powell sulle loro vite, i concerti del 2013 e le loro personalità acquistano centralità e importanza in questa divagazone glamour smodatamente ruffiana. Se la prima parte lamentava carenza di obiettività e confronto critico tra professionisti, pur raccontando con partecipazione la genesi del gruppo, qui mancano perfino i contenuti (molti dei quali recuperati dalla parte 1) e gli elementi di dibattito. Reaching For The Stars: The Next Chapter è un modo furbo per segmentare un docu-film che si sarebbe potuto concentrare in meno di due ore. Un'operazione commerciale – e di sciacallaggio – rivolta alle directioners non interessate alla qualità e attendibilità dei contenuti, bensì desiderose di raccogliere e collezionare quanto più merchandise generato dal fenomeno dei 1D. Indipendentemente dalla loro provenienza e ufficialità .