Antonio (Filippo Timi) e Jaber (Jaouher Brahim Ben Fredj) sono due persone molto diverse: uno è un padre di famiglia toscano, trasferitosi a Milano per far curare il suo bambino che ha un tumore al cervello; l’altro è un giovane arabo che si trova spesso nello stesso ospedale di Antonio per far visita a un amico. Antonio e Jaber sono i due protagonisti del film che sancisce il ritorno di Mirko Locatelli dietro la macchina da presa, a cinque anni di distanza dal suo ultimo lavoro Il primo giorno d'inverno, sempre al fianco di sua moglie Giuditta Tarantelli che assieme a lui ha sceneggiato e prodotto il film. I corpi estranei racconta la vita di una categoria particolare di persone: quelle costrette ad abbandonare i propri affetti, non per lavoro ma per amore. L’amore in questione non è quello tipico di un rapporto di coppia ma di un genitore verso il proprio figlio. Antonio è il padre di Pietro, ricoverato in ospedale per un cancro al cervello. Per consentire al bambino di avere tutte le cure possibili lascia la famiglia – moglie e l’altro figlio – e da solo con una valigia di vestiti parte da Pistoia per trascorrere le sue giornate tra le corsie di un ospedale di Milano. Tra accertamenti medici, calvari farmacologici, speranze e tanto sconforto il film cerca di raccontare il dramma di un genitore alle prese forse con uno dei dolori più grandi che possa capitare nella vita. Percorso che lo porta a inventarsi nuovi passatempi, incuriosirsi a cose, persone, che mai forse l’avrebbero attratto nella vita perché totalmente distanti dalla sua realtà . Tra queste una serie di personaggi arabi, Jaber ad esempio, che gravitano attorno all’ospedale. Ognuno di loro ha una persona cara che combatte per guarire: in questa partigianeria verso un comune nemico i multietnici avventori di questo ospedale non sono più tanto diversi. Jaber in particolare sembra interessarsi molto alla vita di Antonio, informandosi spesso sullo stato di salute del bambino e cercando di essergli d’aiuto quando qualche problema sembra complicargli ulteriormente questa permanenza forzata in una minuscola stanza d’ospedale. Antonio lotta contro la sua solitudine e il tempo che sembra non passare mai, mentre prende l’ennesimo caffè davanti a grottesche macchinette equo-solidali dotate di anima. Tra una terapia e l’altra ha così modo di potersi soffermare su cose totalmente distanti da sé che non avrebbero mai attirato la sua attenzione: una comunità fatta di altri miti da pregare, unguenti da spalmare, mutuo soccorso e lavoretti sommersi. I corpi estranei è prodotto poco cinematografico, un tentativo di seguire un protagonista in un percorso che lo vede da solo e in balia di emozioni estranee. Religioni, malattie, differenze culturali, sociali, abitudini: poco importa. Antonio è distante, è chiuso. Non vuole conoscere nulla che non sia la sua piccola dimensione e non si sarebbe probabilmente mai aperto se non costretto da tristi contingenze. Ma anche in questo caso non si tratta di una vera e propria apertura bensì di mettere a fuoco situazioni che prima erano sconosciute, sbiadite, immaginate solo per sentito dire. L’idea dalla quale trae spunto il film è davvero interessante, il problema è che si innesta - proprio come quei corpi estranei di cui parla - su una struttura troppo debole. Non c’è trama, non c’è intreccio, non ci sono dinamiche. Il protagonista è ripreso in maniera monocorde mentre telefona, si prende cura del suo bambino, spia guardingo i comportamenti della comunità vicina. La ricostruzione della storia è lasciata nelle mani e nel lavoro dello spettatore, che da scampoli di conversazione e velati accenni prova a immaginarsi cosa succede davvero nella vita del protagonista, che scorre come un documentario il cui tema non è ben specificato. Se per corpi estranei si intende tutto ciò che Antonio si è rifiutato di osservare fino a quel momento non è chiaro, si può solo presumere per dare un senso al lavoro complessivo. Certo, portare sullo schermo la fatica di chi per amore si adatta a vivere senza una casa, in una microstanza priva di comfort, con la stessa valigia di vestiti per un tempo indeterminato è sicuramente una scelta apprezzabile e interessante. Ma decidere di girarlo in maniera essenziale e scarna poco si adatta alle troppe tematiche in gioco, che così appaiono poco approfondite, scollate tra di loro e si fatica a trovare una pista comune. Malattia? Padri che si prendono cura dei loro figli? Tema razziale? Tutto sembra estremamente estraneo.