Ci sono treni che vale la pena prendere. E vale assolutamente una corsa il treno passato dal Festival del Cinema di Roma e proveniente direttamente dalla Corea. Il regista Bong Joon-ho realizza film da blockbuster senza per questo perdere di spessore e verve critica, e il suo ultimo lavoro presenta comme d’habitude i pregi di un cinema più commerciale e quelli di un genere introspettivo, per via delle molteplici piste metaforiche che è possibile incrociare durante la visione e dalle quali trae spunto una profonda riflessione sulla natura umana, condita però da interessanti estetiche steampunk. Un interessante lavoro di fantascienza, tratto dalla graphic novel francese Le Transperceneige e rappresenta il debutto in lingua inglese per il regista coreano. Siamo nel 2031, in piena Era Glaciale. Inutili i tentativi di fermare il riscaldamento globale: per la Terra non c’è scampo, tutte le specie si sono ormai estinte. Unici superstiti i viaggiatori che si trovano su un treno ad alta velocità che resiste alle ostilità ambientali finché in moto. In questo ecosistema si sono riprodotte tutte le categorie presenti nei vecchi governi politici: dall’ultima carrozza fino alla testa del treno troviamo vagoni in cui sono stipate le varie classi sociali, dai lavoratori (passeggeri che presero di nascosto il treno senza possedere biglietto) ghettizzati in coda fino a lui, il Grande Fratello di orwelliana memoria che tutto sorveglia e che ha la paternità di ingranaggi e rotaie. Nel mezzo, le altre classi, che godono di privilegi modulati. Ma Curtis (Chris Evans) non ci sta: il giovane passeggero della classe dei reietti organizza una sommossa che coinvolge tutto il treno contro la vera antagonista (Tilda Swinton, imbruttita ma non per questo meno splendida) a capo dei fedeli al leader del treno. Con l’aiuto del saggio Gilliam (John Hurt, il cui nome, viste le atmosfere del film, non sembra affatto un caso), comincia la marcia di rivolta lungo i vagoni per tutti i ceti sociali. In questa escalation si ripercorre il tema ambientale, i classici cliché socio-politici, l’uomo come causa e salvezza stessa della propria sorte, senza rinunciare a tratti comici, valvole di sfogo necessarie per smorzare la fotografia cupa e tetra e la tensione costante del film (grandiosa la scena di scoperta del sushi). Da grande opera di intrattenimento, Snowpiercer lascia il segno su vari fronti: i meravigliosi e cruenti ralenti che accompagnano i momenti di lotta; gli intrighi e i complotti che aumentano la suspence, le semi-soggettive, gli stacchi con fuori fuoco che confermano un sapiente e coerente lavoro di fotografia sono tutti indizi che fanno capire quanto lavoro si sia preteso dal punto di vista tecnico. Con scene mozzafiato e colossali (toccante la scena della torcia che illumina il percorso verso una possibile salvezza, non solo fisica individuale, ma soprattutto della specie) arriviamo fino a Lord Wilford (Ed Harris) e alla conclusione, raggelante, come i paesaggi dai finestrini. Tra riferimenti biblici, citazioni filosofiche e apocalittiche, Snowpiercer - il film con 38 milioni di dollari di budget - è una corsa vincente. Non resta che comprare il biglietto.