Uberto Pasolini, produttore di pellicole memorabili per il grande pubblico, come Full Monty – Squattrinati organizzati, e Palookaville, torna alla regia dopo Machan – La vera storia di una falsa squadra, commedia elogiata dalla critica su un gruppo di senegalesi che per entrare in Germania, a visto scaduto, si finge una squadra di pallamano. Still Life, ispirato a persone e fatti reali come il suo predecessore, invita lo spettatore a riflettere sul significato profondo della vita e della morte attraverso una critica spietata nei confronti della società contemporanea che distrugge i rapporti interpersonali e permette che tante persone vengano dimenticate e lasciate a loro stesse. Il risultato è un’opera gentile, che trova nelle immagini di vita quotidiana dei film di Yasujiro Ozu i propri riferimenti visivi, di grande quiete e al tempo stesso di immensa potenza. South London, oggi. Il solitario John May (Eddie Marsan), impiegato del Comune, ha il compito di trovare i parenti più prossimi di tutti coloro che sono morti in solitudine. Stacanovista, eccessivamente scrupoloso, John si dedica anima e corpo alla sua professione. Quando il reparto è costretto ad un importante ridimensionamento a causa della crisi economica, l’uomo comincia la sua ultima ricerca, quella più importante, che lo porterà ad aprirsi alla vita abbandonando gradualmente la sua routine quotidiana fatta di gesti ripetuti all’infinito e di passeggiate solitarie per le vie della città . Sul suo cammino incontrerà Kelly (Joanne Froggatt), un’amabile ragazza che farà capire a John il valore di ogni singolo istante passato su questa Terra. Scritto, diretto e prodotto da Uberto Pasolini, Still Life è un’opera che si compone di pochi, lenti, movimenti di macchina e silenzi carichi di significato. La staticità funerea che permea tutto il film ci riporta ad una dimensione ultraterrena che, seppur ormai dimenticata nella frenesia della vita di tutti i giorni, riusciamo a percepire ancora come nostra. Eddie Marsan è perfetto nel ruolo del coscienzioso funzionario comunale convinto che il suo sia l’unico modo di vivere possibile. Ricorrendo alle sole espressioni facciali, in cui è possibile intravedere un mondo di reale solitudine, l’interprete, che si conferma uno dei migliori caratteristi inglesi del momento, delinea in modo magistrale la psicologia di un individuo la cui spinta vitale risiede unicamente nel proprio lavoro. Ma il punto di forza dell’opera di Pasolini sta proprio nel modo in cui questa viene raccontata: le inquadrature perfettamente geometriche, accompagnate dalle note delicate di Rachel Portman, trasmettono allo spettatore il forte rispetto del regista nei confronti del lavoro svolto dal protagonista con tanta dedizione. È importante condividere la propria vita con la gente che ci sta attorno, sembra suggerirci Pasolini, non lasciare che i rapporti tra le persone vadano perduti e dimenticati, riscoprire il bello insito nei gesti semplici e apparentemente scontati. Il finale di Still Life, aperto a mille interpretazioni, non mancherà di fare breccia nel cuore dei più sentimentali e di tutti coloro che ancora credono fortemente che l’apertura verso il prossimo salverà il mondo.