Nato dalla penna e dall’immaginazione di Leiji Matsumoto, il personaggio di Capitan Harlock è conosciuto grazie alla trasposizione animata che arrivò anche in Italia sul finire degli anni ’70. Ma è soprattutto un universo a se stante quello creato da Matsumoto, una realtà in continuo divenire, che si reinventa, si ricostruisce e parte da capo, lasciando immutabile l’iconografia estetica legata al personaggio; il mantello che sventola sullo sfondo di uno spazio profondo e l’occhio cieco, coperto da una benda nera che ne sancisce la natura piratesca. Diretto da Shinji Aramaki e scritto dall’autore fantascientifico Harotoshi Fukui – con la supervisione di Matsumoto – ora Capitan Harlock diventa una megaproduzione cinematografica, che ha esordito nella vetrina illustre della 70° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, prima di arrivare al cinema ad inaugurare il 2014. Per prima cosa va detto che non è Harlock il vero protagonista di questo film. Il famoso pirata è una presenza fissa, una presenza necessaria, che però agisce dai limiti del quadro, nei panni di una sorta di burattinaio che vuole salvare l’umanità da se stessa. Al centro del racconto c’è la storia di due fratelli: Ezra, che è il capo della Coalizione Gaia, e Logan, che viene spinto ad entrare come spia nell’Arcadia, la nave attraverso la quale Harlock va reclutando un equipaggio. Missione di Logan è uccidere il famoso pirata, ma una volta entrato nell’Arcadia Logan è diviso tra quello che ha sempre sentito dire e quello che i suoi occhi vedono. A questo si aggiunge la guerra che mira a riportare l’umanità sulla Terra, pianeta abbandonato cento anni prima, che la Coalizione Gaia ha dichiarato essere sacra e, dunque, non calpestabile. Ma dietro la decisione della Coalizione Gaia c’è una menzogna e Harlock stesso deve fare i conti con alcuni segreti del suo passato. Quando si porta su schermo una forte personalità così tanto radicata nell’immaginario collettivo, il rischio è sempre quello di deludere i fan più accaniti o, d'altra parte, di escludere dal racconto i neofiti che si approcciano per la prima volta alla storia. In questo senso, Harlock si discosta un po’ da questi rischi: la natura stessa del Pirata di Matsumoto è mutevole, in continua evoluzione. Quindi, se pur rimangono quasi del tutto invariate le motivazioni alla base dei suoi gesti e i valori in cui credere, si può dire che, tutto sommato, un Harlock univoco in ogni suo aspetto non esiste. Ecco allora che Shinji Aramaki re-inventa, quasi da capo, un personaggio molto più cupo di quanto i fan potrebbero ricordare e, probabilmente, molto più malinconico. Tutto questo è inserito in un contesto drammaturgico che, in alcuni punti, viene rallentato da una dose eccessiva di spiegazioni e racconti. La trama in sé, non brillando certo in originalità e strizzando l’occhio all’universo fantascientifico nella sua interezza (fino al recentissimo Pacific Rim), riesce comunque ad irretire gli spettatori, grazie ad una CGI perfettamente riuscita ed immersiva, e un 3D che non fatica a rendere giustizia alla maestosità dell’Arcadia.