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Tutto sua madre

12/01/2014 11:00

Lorenzo Pedrazzi

Recensione Film,

Tutto sua madre

Il palco teatrale come spazio privilegiato per l’esposizione dei sentimenti

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Il viso di Guillaume Gallienne ci appare riflesso nello specchio di un camerino, ricoperto da uno strato di cerone bianco che l’attore/regista fa sparire con un gesto rapido della mano. Quel che resta, sotto il trucco dell’attore, è il suo volto di uomo: Guillaume si prepara ad andare in scena, ma ciò che desidera raccontare non è null’altro che se stesso, la sua storia, la sua famiglia, l’indagine privata nel suo vissuto personale. Tutto sua madre, basato sulla pièce Les Garçons et Guillaume, à Table!, non è la storia di una conversione, bensì la ricerca di un’identità sessuale che trascende le imposizioni di genere, superando le aspettative genitoriali in favore di una propria, intima verità.


Il regista sfrutta il palco teatrale come spazio privilegiato per l’esposizione dei sentimenti, da cui si ramifica un racconto cinematografico che procede per ellissi: circondato dal buio della scena, di fronte a un pubblico invisibile, Guillaume rievoca gli episodi che hanno segnato il suo percorso individuale, sempre accompagnato dall’ingombrante presenza di una madre – rude, cinica e sbrigativa – con cui il ragazzo s’identifica totalmente, al punto da interpretarne il ruolo in prima persona. Un rapporto morboso che confonde l’identità di Guillaume, inducendolo a credere di essere lui stesso una donna, com’è evidente dal titolo originale del film e della pièce, in cui il protagonista non viene assimilato alla categoria dei maschi, ma resta isolato, come fosse un unicum inclassificabile (Les Garçons et Guillaume, ovvero “I ragazzi e Guillaume”). Oberato dall’influenza materna, cresciuto in una borghesia agiata e cosmopolita, Guillaume dichiara il suo amore sconfinato per le donne in quello che, al principio, sembra un processo d’identificazione con il sesso femminile, ma che in seguito, quando finalmente il ragazzo esce dall’ombra della genitrice, muta in qualcos’altro: un amore e un desiderio di natura carnale, che svela a noi spettatori – ma soprattutto a lui stesso – il suo vero orientamento sessuale.


Questa confessione in forma artistica, per quanto intima e privata, scruta un orizzonte ben più vasto, di carattere universale: la storia di Guillaume evoca lo smarrimento di tutti quei giovani che non riescono a inserirsi nelle logiche stereotipate di entrambi i generi, e rifuggono dai ruoli prestabiliti. Il film ne affronta le difficoltà con leggerezza, adottando i tempi e i modi di una commedia vagamente surreale, dove le fantasie del protagonista prendono vita senza soluzione di continuità, e il ritratto delle sue disavventure conserva sempre una nota di umorismo, anche nelle sfumature più drammatiche. Così, se non tutte le trovate comiche possono dirsi riuscite (e su alcune il regista tende a indugiare un po’ troppo), nel complesso Tutto sua madre si rivela un’opera sincera, tenera, mai realmente egotistica o autocompiaciuta. Guillaume Gallienne racconta se stesso, certo, ma il suo vissuto personale si fa emblema di un discorso più ampio, nel quale molti potranno cogliere un frammento delle proprie esperienze, dei propri ricordi, delle proprie vittorie e delle proprie sconfitte, senza però smarrire il privilegio di una sana e terapeutica autoironia.


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