Jean-Christophe Rosé mette a nudo in un docu-film storico il legame personale e politico tra Adolf Hitler e Benito Mussolini, un’amicizia diventata alleanza fra due nazioni e una tragica visione condivisa che ha condotto nel 1939 il mondo al secondo conflitto totale. A prestare la voce al racconto è l'attore e doppiatore Francesco Pannofino. Autore navigato di documentari che spaziano dall’argomento sportivo al cinema e all’attualità , è nel doc-movie di tema storico che Jean-Christophe Rosé trova il suo campo privilegiato. Da una longeva passione per i retroscena inerenti il secondo conflitto mondiale nasce Hitler e Mussolini: L'opera degli assassini, ricostruzione storica del rapporto politico - ma anche personale - fra i due dittatori; una cronaca che parte con la presa del potere sino a giungere alla tragedia della guerra e alle conseguenze di essa su Germania e Italia. Oltre a riporre nel suo film la massima cura tecnica – interessante l’operazione di colorizzazione delle pellicole, trasferite da originale in HD – che garantisce alle immagini d’epoca una resa nitida quanto quelle moderne, minuziosa appare anche la ricerca di materiale documentario, trovato negli archivi delle più importanti cineteche di tutto il mondo, in raccolte private, tra fotografie e documenti autografi. Purtroppo Rosé trova nella pellicola sufficiente spazio anche per approfondire il legame umano tra i due statisti - una scelta poco felice che sembra strizzare l’occhio ad uno stile più televisivo di cui il regista ha esperienza. Raccontato come in un accorato fotoromanzo, con commenti e interpretazioni socio-politiche e psicologiche quanto meno discutibili, anche il punto di vista storico di Rosé risulta piuttosto soggettivo e a tratti pretestuoso, soprattutto nell’interpretazione solo economica del genocidio contro gli ebrei, nel racconto approssimativo dell’antisemitismo italiano e dei rapporti fra la Corona Savoia e Mussolini. Vizio comune a molta filmografia del genere, Hitler e Mussolini: L'opera degli assassini è un documentario che presenta accuratezza tecnica e metodo d’inchiesta insieme ad una profonda conoscenza dei tempi cinematografici, ma nel quale il regista mostra di ignorare l’obiettività e la cautela storica necessaria ad un racconto pseudo-biografico, dimenticando spesso di motivare l’adozione di una tesi piuttosto di un’altra e rivelando in più di un frammento di conoscere poco soprattutto la storia italiana. Nel ritratto di Mussolini inoltre, vagamente romanzato e ridotto per lo più a vittima del rapporto con Hitler, Rosè rischia, più o meno inconsapevolmente, di cavalcare alcuni dei temi più noti e visitati – almeno in Italia – dell’apologia del fascismo.