Tra parodia e comicità elementare arriva in sala la versione demenziale di Hunger Games, condita con il meglio e il peggio del fantasy contemporaneo. Kantmiss Evershot (Maiara Walsh) è scelta per partecipare agli Starving Games, crudeli giochi che l’intera affamata cittadina attende in virtù delle cibarie messe in palio. I partecipanti sono ventiquattro e solo uno resterà in vita e vincerà: Maiara dovrà non solo vincere ma fare i conti con i propri sentimenti per Dale (Brant Daugherty), l’amico di sempre, e Peter (Cody Christian), il rivale in gara. Non c’è successo di pubblico, incasso cinematografico o giudizio critico che tenga: ad Hollywood un film può dirsi davvero un cult solo dopo che Jason Friedberg e Aaron Seltzer si sono cimentati – in veste di produttori, autori o registi – nella parodia ufficiale. Dopo aver colpito l’horror di consumo con Scary Movie, il colossal fracassone con Epic Movie e due dei più recenti casi cinematografici in 3ciento (Meet the Spartans) e Mordimi (Vampires Suck), Friedberg e Seltzer tornano sul grande schermo con un ennesimo film comico-demenziale, che prende di mira alcune delle saghe fantasy più in voga. Al centro della parodia c’è Hunger Games, il più recente innamoramento delle nuove generazioni, con la giovane star Jennifer Lawrence qui sostituita, come di regola, da un’attrice già nota al pubblico delle serie tv, Maiara Walsh (Desperate Housewives, The Vampire Diaries). Come da copione, l’intreccio di Hunger Games è mantenuto nella struttura ma rivoluzionato in funzione di un risultato dissacrante in cui si inseriscono citazioni e personaggi parodia di altre note saghe (Lo Hobbit, I Mercenari) e riferimenti alla cultura pop provenienti dal sentire comune, dalla pubblicità e dalla televisione dei teens, pubblico a cui verosimilmente i due autori si rivolgono anche stavolta. Praticamente impossibile è, infatti, per chi non faccia parte della giovane “Apple/Facebook/Starbucks generation” cogliere lo sterminato numero di elementi che i due registi inseriscono nella pellicola: non solo i film ma anche i brand più amati dagli under 20, gli show televisivi e ovviamente la musica - da Nicki Minaj a Taylor Swift. Soprattutto stavolta, oltre a prendere in giro il cinema di consumo in realtà meno ferocemente di quanto si voglia dare a credere, Angry Games mira a ridere (e a far ridere) anche dei moderni social media (Facebook, Twitter, Instagram) e della smartphone mania, prendendo di mira uno dei più popolari videogiochi da cellulare - Angry Birds, che dà il titolo italiano alla pellicola. Un pungolo alla risata collettiva, nulla di più innocuo e lontano dalla satira costruttiva e tantomeno da qualsiasi intento morale, perché come sempre nei film di Jason Friedberg e Aaron Seltzer il risultato cercato è solo la demenzialità più ostentata, con gag fisiche/corporali, doppi sensi (che non raggiungono il livello infimo del sottotitolo italiano, ma sono comunque espliciti) e un’esile trama su cui innestare una serie di trovate divertenti e goliardate di ogni tipo. La fortuna di essere due registi a cui da anni il cinema concede di lavorare a briglia sciolta e di produrre pellicole senza nessun’ambizione ulteriore che il divertimento di un pubblico disimpegnato, desideroso di ridere dello stesso cinema di cui è fan.