Hannah Arendt, l’ultima pellicola diretta da Margarethe Von Trotta - una delle maggiori autrici del mondo e regista di successo di film per il cinema e la televisione come Anni di Piombo, Leone d’oro al Festival di Venezia nel 1981 e Rosenstrasse (2002) - racconta il carattere forte della filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense che nel 1963 scandalizzò il mondo intero con la pubblicazione del saggio La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. Nelle vesti della protagonista una magnifica Barbara Sukowa, capace di rendere il suo personaggio autentico e sfaccettato, affiancata dalle impeccabili interpretazioni di Axel Milberg, Janet McTeer, Julia Jentsch, Ulrich Noethen e Michael Degen. La filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt (Barbara Sukowa), sopravvissuta agli orrori della Germania nazista e residente negli Stati Uniti dal 1940 insieme al marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher (Axel Milberg), vive tranquillamente la sua vita a New York, dove insegna in un’importante università e collabora con alcune eminenti testate giornalistiche. Quando nel 1961 il criminale di guerra nazista, Adolf Eichmann, viene catturato dai Servizi Segreti israeliani a Buenos Aires, la Arendt si reca a Gerusalemme come inviata del New Yorker per seguire da vicino lo storico processo che vede imputato il gerarca tedesco considerato uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei sotto la Germania del Terzo Reich. Da questa esperienza diretta la donna prenderà spunto per il suo libro, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, un saggio coraggioso che andrà incontro a numerose controversie e porterà molti cari amici della Arendt, come l’ebreo Kurt Blumenfeld (Michael Degen) ed il filosofo Hans Jonas (Ulrich Noethen), a voltarle le spalle. Non nuova ai biopic incentrati su personaggi femminili risoluti e dissidenti – sue le pellicole dedicate a Rosa Luxemburg e Ildegarda di Bingen, entrambe impersonate da Barbara Sukowa – Margarethe Von Trotta pone sotto i riflettori le vicende che videro protagonista Hannah Arendt nella prima metà degli anni ’60, quando le sue teorie sulla banalità del male - termine ormai riconosciuto come componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di giudicare quella che fu la pagina più buia del XX secolo - la resero vittima di attacchi feroci da parte di gran parte della stampa mondiale e di molti esponenti della comunità ebraica che arrivarono a considerarla una nemica del loro popolo. Lo sguardo attento della regista indaga la persona comune celata dietro il personaggio storico, cerca di capirne le ragioni e i processi mentali che scaturirono dall’incontro diretto con Adolf Eichmann, l’uomo la cui cieca obbedienza e incapacità di ragionare autonomamente fecero si che le vite di milioni di persone fossero cancellate in pochi attimi dalle docce delle camere a gas. L’interesse della regista si focalizza esclusivamente sul carattere della protagonista, sul modo di relazionarsi con i suoi affetti più cari, sul conflitto tra ragione e sentimento che la portò ad una scissione totale di se stessa. Nonostante risulti a tratti prolisso, il film segue una ricostruzione storica fedele nei particolari e gode di interpretazioni attoriali di alto profilo. Hannah Arendt è il ritratto veritiero di una delle figure storiche più appassionanti del secolo scorso; un invito della stessa regista alla comprensione priva di pregiudizi delle persone e degli eventi che hanno scritto la storia, con l'obiettivo di scavare nel profondo delle ragioni dell’altro senza la paura di andare incontro alla disapprovazione del mondo intero.