The Green Inferno segna il ritorno dietro la macchina la presa di Eli Roth, regista e attore molto vicino a Quentin Tarantino, che ha pubblicizzato e prodotto il suo Hostel (2005) e lo ha fortemente voluto come interprete in A prova di morte (Death Proof, 2007) e Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, 2009). Di fatto l’ultima esperienza da regista di Roth risale a Orgoglio della nazione, film-nel-film proiettato durante la serata nazista in Bastardi senza gloria, reinterpretazione tarantiniana della fine del Terzo Reich che valse il primo Oscar a Christoph Waltz. Partiti da New York per raggiungere l’Amazzonia, alcuni giovani studenti ambientalisti, armati solo di cellulari e social network, intendono protestare contro il diboscamento che minaccia la sopravvivenza di una tribù locale. Dopo un incidente aereo che li fa precipitare nel cuore della foresta amazzonica, gli attivisti verranno catturati dagli indigeni, cannibali che daranno inizio ad un vero e proprio massacro. Accomunato al regista statunitense da una profonda passione per il cinema di genere italiano, Roth firma una pellicola che rivela un certo gusto citazionistico per lungometraggi come Mangiati vivi! (1980) di Umberto Lenzi, Ultimo mondo cannibale (1977) e Cannibal holocaust (1980) di Ruggero Deodato. Quest’ultimo in particolare sembra essere la fonte principale di The Green Inferno, sorta di remake lievemente camuffato, anacronistico ed esagerato, che ripropone una ricorrente ossessione del cinema di Roth, il viaggio come pericolo mortale, già presente in Hostel e Hostel: Part II (2007). La cornice dell’attivismo ambientale è esilissima – nonostante occupi tutta la prima parte del film – e non sono sufficienti le velleità di denuncia del regista verso un certo tipo di protesta borghese, fatta di cellulari e interventi sui social network, riguardo problematiche conosciute in maniera approssimativa e superficiale. Certo, The Green Inferno ha il merito di non schierarsi: non sta infatti dalla parte degli americani che vogliono proteggere le foreste amazzoniche dal diboscamento, né da quella delle fantomatiche multinazionali che avanzano con i bulldozer. La sensazione è quella di un film che, tentando di darsi un tono tirando in ballo la questione ambientale, perde di vista la strada maestra dello splatter: bisogna aspettare infatti quasi un’ora per scorgere la prima goccia di sangue e non è un caso che questo sia il lungometraggio di Roth meno impressionante sotto questo aspetto. Durante la panoramica aerea iniziale, palese omaggio a Deodato, avremmo augurato ai pericolosissimi cannibali di Roth una scorpacciata certo più sostanziosa e divertente.